20 Ottobre 2021
A sei anni da Grievances, i Kowloon Walled City tornano con poco più di 30 minuti di nuova musica, raccolta sotto il titolo della traccia iniziale Piecework, e pubblicata ancora una volta dall’integerrima Neurot Recordings.
Siamo in una palestra vuota, in un parcheggio al chiuso abbandonato, in un ambiente desolato, dove regnano il silenzio e la polvere. Le regole del suono dei KWC sono rimaste le stesse, ovvero quelle di un postcore ruvidissimo, rallentato e sempre più ridotto all’osso, senza alcun abbellimento né minimo di sovrastruttura possibile. Niente mobili, solo stanze vuote, come nella copertina dell’artwork che accompagna il disco. Anzi, sono proprio le pause a riempire gli spazi, e a dare un senso di necessità nel proseguire.
Il fatto poi che le canzoni di Piecework siano mediamente più brevi che in passato rende l’ascolto integrale un’esperienza di facile digestione nei momenti della giornata che si possono dedicare alla musica.
Viene facile di questi tempi immaginare che il contesto e lo stato d’animo di una nuova proposta musicale sia stato fortemente condizionato dai ripetuti lockdown causati dalla pandemia. Fin troppo l’immaginazione sopravanza la realtà dei fatti. Ma in casi come questo, l’associazione viene naturale: la musica dei Kowloon Walled City – con le performance del cantante Scott Evans in particolare – è già alienante e solitaria di suo, per cui non puoi non trovare attuali queste sette tracce, che pure sono il frutto di sei anni di vissuto e di suonate in sala prove.
Ci stanno benissimo in casa Neurot, ma forse andando al nocciolo del sound -core, e anche rispetto a Grievances (2015), Piecework sembra più collegiale e puro, distante dai Neurosis e da altra musica dell’etichetta.
Non è questa una band che uno dice “mi ha cambiato la vita”. Non finisce in alto nelle classifiche di fine anno (e da queste parti, sin dai tempi degli ISIS e dei migliori Neurosis, appunto, certa musica post metal l’abbiamo sempre trattata volentieri), né siamo qui a scommettere che ce ne ricorderemo a fine decennio. Tuttavia, la sincerità che questi quattro ragazzotti di Oakland riescono ad esprimere con la loro offerta è davvero indiscutibile. Siamo al decimo ascolto, e ancora ci crediamo. Non succede con tutti.