31 Ottobre 2021
In fondo lo dice già il titolo: Jerry Cantrell ha trovato la luce. Magari non quella di nostro Signore Gesù Cristo, ma è netta la rischiarata nel suo terzo lavoro solistico Brighten, edito a ben diciannove anni dal monolitico Degradation Trip, e ad altrettanti dalla morte del povero Layne Staley.
Nei quasi due decenni di intermezzo sono usciti tre album a nome Alice in Chains, che da queste parti abbiamo fin troppo perculato, in nome di una lealtà alla formazione originale che negli anni Novanta aveva scritto alcune delle migliori pagine del rock alternativo americano, e quindi un pugno di dischi che, qualunque appassionato della scena di Seattle, ha amato e continua a rispettare.
Degradation Trip Vol. 1 & 2 è stato in questo senso uno degli ultimissimi – se non proprio l’ultimo! – grandi album etichettabili come grunge che un artista della prima ondata abbia pubblicato, prima che il decadimento, la senescenza, gli scioglimenti e le morti mettessero la parola fine a quella corrente del rock. Era un doppio durissimo e viscerale, che si reggeva in piedi alla grande anche senza la voce catartica di quello là, e che strizzava solo occasionalmente l’occhiolino alle radio fm del periodo, per altro senza grande convinzione.
Diverso è il discorso in Brighten. In questi otto inediti (escludiamo quindi il sentito omaggio all’amico Elton John in chiusura), si gioca prevalentemente su coordinate elettroacustiche che qualche assurda ambizione di airplay, anche in tempi come questi, ce l’hanno eccome. Ma sembra di essere più nell’albumetto di una band post-grunge che facevano il verso ai Silverchair che facevano il verso ai Nirvana, più che in Jar of Flies.
Peccato perché l’avvio è strepitoso con il singolo Atone, che gioca alla grande con la dissonanza melodica, marchio di fabbrica nella produzione di Cantrell.
La performance generale è ovviamente buona: accompagnano Cantrell Gil Sharone e Greg Puciato, che furono rispettativamente batterista e vocalist dei Dillinger Escape Plan, oltre a Duff McKagan al basso per una manciata di canzoni. E ci mancherebbe altro. Il problema non è quello.
Non si riescono a perdonare invece canzonette banali come Black Heart and Evil Done – che ti punisce per sei lunghi minuti – o Nobody Breaks You, che arrivati al ritornello si trasforma in un pezzo degli Hanson. Dozzinale è un aggettivo che uno non pensava di poter mai affibbiare alla musica di Cantrell.
Ci può stare semmai il collegamento che si potrebbe fare tra Siren Song – l’altro pezzo completamente da salvare in questo lotto – e la storica Down in a Hole, invero due brani simili, che fotografano però due momenti opposti nella vita di Jerry.
D’accordo anche che arrivato a una certa, è anche legittimo non ritrovarlo ancora invischiato nelle sabbie mobili e nelle oscurità che hanno sempre caratterizzato la poetica della sua musica. Ma forse certi artisti rendono al meglio quando scrivono nel loro contesto tormentato, piuttosto che quando appunto provano a uscire dal buio e provare a godersela. A cosa può mai servire un disco come Brighten?
Continuiamo a suggerire l’esordio solista Boggy Depot (1998) e il fondamentale, per un appassionato di storie di Seattle Sound, Degradation Trip Vol. 1 & 2 (2002), ma proprio non ci sentiamo di salvare questo nuovo LP, per quanto siamo contenti della ritrovata serenità dell’artista.