1 Dicembre 2020
Avrei potuto effettuare senza esitazioni una disamina sul nuovo progetto di Darren Cunningham al momento dell’uscita, ma non sentivo il bisogno di certe sonorità. Fare una corsa a chi arriva prima in termini di recensioni sa rivelarsi un’arma a doppio taglio, considerato che il rischio di non sbilanciarsi e far sì che l’album in questione passi in sordina è concreto. Allora con colpevole ritardo mi appresto a scrivere di Karma & Desire, nonostante sia stato una costante del mese appena trascorso.
L’ingegno multiforme del britannico torna in quello che è il degno seguito dell’altrettanto meritevole AZD, lavoro più freddo e tecnologico, incentrato maggiormente sulla dedizione verso l’intelligenza artificiale. Il nuovo lotto di tracce offre il giusto connubio tra l’animo più recondito del producer e il suo lato club-oriented, con la tracklist stessa a suggerire questo contrasto, organizzata in una prima sezione profonda, contemplativa, e una coda che strizza l’occhio al dancefloor – per intenderci, non è maniacalmente strutturato come un disco di Jon Hopkins, altrimenti “Leaves Against The Sky” non potrebbe esistere in mezzo a due pezzi quasi totalmente sprovvisti di beat.
Dubito la scelta di pubblicare il lavoro durante questo periodo fosse casuale, poiché potrebbe sia fungere da destabilizzante colonna sonora per le metropoli avvolte dal silenzio pandemico, sia offrire uno squarcio di ottimismo verso la riacquisita quotidianità. E pensare che ci sono voluti ben sei progetti sulla lunga durata per arrivare ad includere alcune guest vocals in una sua uscita, ma possiamo dire senza indugio che è valsa la pena di attendere. Gli ospiti aggiungono eccome nuove sfumature alle melodie tracciate dal nativo di Wolverhampton, senza distoglierci dai suoi ormai tipici, imprevedibili andamenti. Karma & Desire offre comunque dei punti di contatto con le vecchie produzioni, ad esempio mantenendo un sound urbano, alienante, marchio di fabbrica della narrativa firmata Actress.
Lungo la strada si passa da echi meditativi – si pensi al binomio “Remembrance”, “Reverend” – a cavalcate capaci di smuovere anche i più impassibili, evitando volgari soluzioni sopra le righe. Troviamo piacevolmente anche un pizzico di Italia, rappresentata dalla pianista Vanessa Benelli Mosell nella toccante “Public Life”. E poi c’è la chiusura, meritevole di una parentesi a sé stante. Con “Walking Flames” si manifesta il primo approccio (oserei dire) romantico alla composizione, ulteriormente addolcito dalle note da un Sampha in grande spolvero, a rendere pubblico quel calore umano di cui pareva inizialmente privo.
Rimarrà una prova perennemente intrisa delle sensazioni percepite col fluire dell’ascolto, dove è stato possibile sciogliersi emotivamente anche per un fanatico del digitale, in aggiunta durante un’infelice pagina di storia. Darren Cunningham ha lasciato intravedere il cuore, fare lo stesso dovrebbe essere nostra prerogativa.