28 Settembre 2022
Mi capita spesso di dover esprimere un certo distacco dall’R&B nella sua forma classica, che ormai andrebbe bollata semplicemente come derivativa. È un preambolo a cui devo ripetutamente fare affidamento così da spiegare il perché di un’eventuale stroncatura verso prove il cui valore, di base, supera quello del mero astio.
Ma quello di Sudan Archives rappresenta un unicum, dato che non avevo mai sentito la necessità di aggrapparmi a simile premesse per avvalorare un prodotto anziché sminuirlo.
Originaria di Cincinnati, Brittney Denise Parks si forma sostanzialmente da autodidatta come violinista per poi sfuggire alle rigide logiche degli archi, affacciarsi alla moltitudine di scene dell’America degli anni Dieci e trasferirsi definitivamente in quel di Los Angeles. L’esordio esce nel 2019 e, sebbene si tratti di una prova discreta, porta con sé ancora troppi cliché del genere per far sì che io dedichi la giusta attenzione all’artista.
La scossa giunge con “Home Maker”, singolo di lancio e d’apertura di Natural Brown Prom Queen. Qui, nonostante l’R&B contemporaneo rimanga il nucleo della traccia, si può intravedere un’attitudine incline ad orizzonti più alternativi, nu-disco in primis. Forte di queste premesse, la seconda fatica di Sudan Archives non delude e trova il modo di espandere le soluzioni sonore del singolo appena menzionato, creando una formula sulla carta davvero dura da mettere in atto senza pasticciare qua e là.
La carne al fuoco è tanta, dall’hip hop schizofrenico di “NBPQ (Topless)” all’esplosivo pop d’avanguardia racchiuso nei due minuti di “Copycat (Broken Notions)”, ma tutto scorre senza intoppi o quasi. Forse si poteva alleggerire la dose di episodi dilatati dopo il primo blocco di tracce; tutto sommato, non un danno che intacca gravemente quanto espresso in precedenza. L’anima pop del disco fa da collante e rende il prodotto un must anche per quei pochi che lo scopriranno per vie traverse, così da venire iniziati (si spera) ad ascolti meno lineari.
Mi fa rabbia vedere come sia effettivamente possibile non rimanere ancorati a un genere che, quando spalmato su prove dalla durata media di un’ora, perde la quasi totalità delle sue peculiarità: ritmo, sensualità, e coinvolgimento psicofisico tipico delle produzioni afroamericane. La statunitense possiede tutte le carte in regola per bissare il successo di quest’ottimo LP e non svanire come la più effimera delle meteore; sta a lei non arrendersi ai dettami del popolino e alla spocchia del suo stesso personaggio.