8 Aprile 2022
Nel tempo siamo passati così oltre i Red Hot Chili Peppers che pubblicare la recensione del loro nuovo album Unlimited Love su queste coordinate lascia davvero il tempo che trova. Ma non è il simbolo della crosta d’autore – ovvero la copertina di St. Anger dei Metallica, la crosta per eccellenza – che eravamo pronti ad assegnare d’ufficio quello che trovate di fianco al corpo di questo pezzo. Piuttosto, il voto lascia intendere che forse questo è il migliore disco della band dai tempi di Californication. Figurarsi.
Unlimited Love ha infatti delle partiture e delle performance tra le migliori della loro intera discografia. Pecca solo e inevitabilmente sul fronte melodico, perché Kiedis non è (mai stato) un cantante e col passare degli anni non è andato migliorando, anzi. Soprattutto da quando ha sostanzialmente smesso di partire dalla matrice rap (ovvero da By The Way, 2002), la trasmutazione dello stile del gruppo da alternative a mainstream rock è stata sempre più evidente. La ricerca di strofe e ritornelli melensi ha ammorbato chiunque avesse seguito il gruppo in tempi non sospetti, ovvero da prima dell’esplosione commerciale avvenuta a cavallo dei due secoli, dopo l’uscita di Californication. E chi li coglionava storpiandone il nome in Back Street Chili Peppers (ovvero noialtri), non sbagliava di certo.
Colpevoli tutti, colpevole l’età che è avanzata troppo, ma anche i tempi che sono cambiati, perché i Red Hot di Blood Sugar Sex Magik sarebbero improponibili oggi, anche a livello di contenuti lirici (da quando è uscito fuori il movimento MeToo secondo noi Kiedis dorme poco la notte…). Magari hanno smesso troppo presto di essere quella band. Le vicissitudini sono state tante, in primis i vari ammutinamenti di Frusciante che non è certo chitarrista dotato né questo compositore illuminato che si favoleggia, ma che in fondo è colui che riesce a far risaltare meglio il vero motore dei Chili Peppers, ovvero la sezione ritmica di Flea e Chad Smith. Il suo primo ritorno portò al successo commerciale di Californication, oggi che le vendite non si fanno più, ma si parla al massimo di passaggi su Spotify, colonne sonore, performance in tv o di 30’ secondi durante qualche pubblicità, John ha risvegliato il vigore di musicisti che negli ultimi venti anni avevano pubblicato pressoché solo croste. Si può ben dire che stavolta Frusciante ha davvero salvato la band.
Le tracce che ci piacciono di più, ovviamente, sono quelle che parlano l’antico linguaggio del combo di Hollywood: se Poster Child è la nuova Yertle the Turtle, These Are the Ways è costruita con l’intelligenza e soprattutto il vigore agonistico dei bei tempi, mentre in Aquatic Mouth Dance sembra di essere nel funk di Mother’s Milk (1989). Laddove i power chords di Frusciante lanciano cori alla Beach Boys, ci si ricorda di essere così abituati al peggio che quasi non fanno più scalpore.
Unlimited Love non è un grande album, ma raccoglie 17 tracce in cui questi quattro vecchietti sembrano avere ancora molta voglia di suonare assieme, liberi da pensieri secondari o dal bisogno di rincorrere chissà quali incassi (anche se certo, la loro agenzia di PR si sta dando molto da fare inserendoli ovunque possibile negli show televisivi e radiofonici).
In tutto questo ciò che semmai fa piacere è il ritorno – stavolta dignitoso – di una band che suona realmente i propri strumenti, e che non ha intenzione di fingersi giovane per stare sul pezzo. Il loro è un messaggio che speriamo possa essere raccolto da molti attori non protagonisti degli ultimi vent’anni del rock. Gente che si è arresa troppo presto, auto-inibendosi per anni prima di fronte al laptop alla ricerca di chissà quale nuova tendenza, e poi durante il lockdown. Invece i RHCP sono tornati a suonare assieme in sala prove, e si sente. Ci sono quelle tre-quattro tracce che sembrano più un prodotto da studio di registrazione (“Not the One” su tutte: quelli non sarebbero i veri Red Hot Chili Peppers), ma per il resto il nuovo è un disco che sa di verità.