18 Maggio 2021
L’esterofilia, musicalmente parlando, non è un peccato.
Ammettiamolo: dal rock ‘n’ roll in poi, la musica italiana è sempre stata un po’ in retroguardia. Se escludiamo alcuni campi più borderline, come ad esempio le colonne sonore, siamo quasi sempre andati a rimorchio. Non che in Italia non sia mai uscito nulla di artisticamente valido, che sia chiaro: abbiamo avuto una scena cantautoriale di ottimo livello, il prog, la new wave, l’alternative anni ’90, lo screamo.
Abbiamo ottenuto risultati validissimi anche in campo elettronico, soprattutto nell’ultimo decennio dove alcuni dei nostri migliori esponenti sono arrivati a firmare per etichette importanti, riuscendo anche ad influenzare fuori dal nostro paese. Eppure, vuoi la barriera linguistica, vuoi il fatto che siamo diventati un po’ la provincia dell’impero, persino alcuni artisti abbastanza validi si sono limitati spesso a ricalcare quanto proveniva dall’estero con minore originalità ed inventiva. Questo discorso non vale però per alcuni fuoriclasse realmente unici e degni di stare vicini ai classici inglesi o americani: penso a Battisti (per me il più grande), De André, i CCCP. Senza spingermi oltre, per evitare di far diventare questo articolo una lista della spesa, è chiaro come in questa categoria rientri Franco Battiato. Fin dai primissimi lavori, il Maestro siciliano ha dimostrato una sensibilità non comune nel rielaborare stimoli diversissimi, spesso provenienti da contesti avanguardistici, in maniera originale e avventurosa.
Fa un po’ specie che nessuno, in queste ore, stia citando album come Fetus o Pollution, capaci di assorbire le influenze provenienti dal kraut rock tedesco e riproporle con un gusto melodico tipicamente italiano. Una delle sue più grandi peculiarità è stata proprio questa contraddizione in termini, cioè la necessità di trovare una strada a metà tra la voglia di esplorare le sonorità elettroniche e la capacità di disegnare melodie orecchiabili e a presa rapida. È forse per questo motivo che, in seguito agli esperimenti degli anni ’70, durante i quali era arrivato a toccare addirittura la musica d’avanguardia di Stockhausen e l’elettronica progressiva di Riley, Battiato decise di dare una svolta notevole alla sua carriera aprendo la sua fase pop con il sorprendente L’Era Del Cinghiale Bianco. Il massimo risultato di questo periodo è sicuramente La Voce Del Padrone, uno dei dischi italiani più amati e celebrati di sempre. Sarebbe superficiale considerare questo avvicinamento di Battiato a sonorità più semplici e alla moda un tentativo di banalizzare e commercializzare la sua proposta, aderendo al vetusto pop da classifica italiano. In questo album in particolare, il sound esplosivo di matrice new wave e le melodie efficacissime sembrano più che altro una sfida all’industria musicale italiana.
La cosa incredibile è come questi pezzi si prendano gioco della loro stessa orecchiabilità, tramite un cantato asettico e non convenzionale e dei testi spesso ai limiti del non-sense dove vengono mischiati critica sociale ed ironia surreale, citazionismo basso e alto con notevole efficacia e profondità. Il successo di pubblico e critica sarà clamoroso, portando Battiato ad essere universalmente considerato uno dei maggiori geni musicali del panorama italiano. La sua voglia di ricerca non terminerà certo qui, andrebbero citati infatti anche gli esperimenti anni ’90, in cui raggiunse l’obiettivo di arrangiare eccentriche ballate atmosferiche nei modi più disparati, guardando soprattutto alla world music. E poi… e poi basta, insomma.
Non era mio obiettivo scrivere una monografia, proprio perché di lavori di questo tenore su Battiato se ne trovano a bizzeffe sul web. Oltre alla musica, come abbiamo detto di un livello raro per il panorama italiano, va ricordato anche il suo essere riconosciuto universalmente come un intellettuale controcorrente e spesso provocatorio, come dimostra il famoso concerto a Baghdad. Forse la sua più grande qualità è stata proprio quella di riuscire a coniugare il suo estro, la sua voglia di ricerca, con un incredibile successo presso il grande pubblico. Probabilmente non tutti sono riusciti a capirlo a pieno, a capire tutte le sfumature di un artista che non si è mai accontentato di inseguire i gusti della massa ma ha provato ad anticiparli e influenzarli attivamente.
Eppure, oggi, la commozione nel nostro paese è praticamente universale, e a rendergli omaggio sono già arrivati un po’ tutti. Non posso fare a meno di pensare a quante volte, in casa, è partito un suo pezzo in tv o alla radio raccogliendo l’apprezzamento unanime di tutta la famiglia, a prescindere dai diversi gusti e percorsi musicali. Perché Battiato è stata in fondo una figura realmente rappresentativa dell’Italia, parte sia della cultura musicale colta sia della cultura pop del nostro paese, come pochissimi altri artisti sono riusciti a fare. E per una volta, in un Italia che spesso fatica a riconoscere il genio e lo trova in personaggi squallidi e discutibili, si può ben dire che gli elogi funebri siano assolutamente meritati. Per quel che vale , sentivo doveroso tributargli il mio piccolo omaggio. Ciao Maestro, e grazie di tutto.