12 Febbraio 2023
Per chi scrive, The Sacrificial Code è stata la colonna sonora del primo lockdown, ovvero quello dell’incognita sulla sopravvivenza,
Quell’organo che trasmetteva sensazioni simili a quelle per le immagini del video di Untitled #1 dei Sigur Rós, mi ha fatto scoprire e seguire l’artista Kali Malone, e ho fortemente voluto inserire quel disco nella TOP 100 di fine decennio, anche se all’epoca sembrava un po’ una forzatura, o una fascinazione del momento.
La scorsa estate è arrivata una mini-opera, Living Torch, che offriva uno altro sviluppo possibile – sebbene decisamente meno inquietante – della sua poetica che solitamente quelli che ne sanno, entro i nostri confini, includono nella categoria “altri suoni”. Un lavoro diritto al punto, che tuttavia non lasciava intravedere spunti di particolare ingegno: qualcosa che nonostante la sua riuscita, se non fosse stato pubblicato dall’autrice di The Sacrificial Code, ai più sarebbe passato inosservato.
Does Spring Hide Its Joy è invece una composizione dedicata al pubblico del drone, sia questo di matrice elettronica (Ben Frost il riferimento) o più chitarristica (Sunn o))) e Khanate su tutti). L’amicizia e la stima di Stephen O’Malley portano la nostra Kali su un percorso già tracciato, e quindi meno personale rispetto alle precedenti uscite. Il limite di questo traspare sin dai primi ascolti di questa suite che sa tanto di sfondo a un’installazione d’arte plastica. Manca la sensazione di unicità che invece lo studio di organo di The Sacrificial Code, pure con tutte le sue dissonanze un po’ stranianti, riusciva a creare.
Ci prova più il violoncello elettrificato di Lucy Railton che la chitarra di O’Malley – in realtà raramente altrettanto pulita nella sua storia – a riportare la magia della composizione originale, che da comunicato stampa nasce e viene sviluppata a Berlino nella primavera del 2020, in due teatri rimasti chiusi per via del periodo di lockdown, che certo con tutte le sue limitazioni, immobilità e silenzi ha ispirato la creazione di Does Spring Hide Its Joy. Il titolo d’altronde sembra un interrogativo all’epoca del tutto comprensibile.
Il punteggio in centesimi è comunque medio-alto secondo gli standard di DYR, perché in ogni caso stiamo parlando di una produzione di sincera qualità. Inoltre da parte sua, il trio riesce a fondersi e confondere l’ascoltatore in ciascuna delle tre versioni dell’opera. Diviene infatti complicato distinguere chi sta suonando (probabilmente tutti e tre allo stesso tempo), e seguire il flusso sonoro dal primo all’ultimo minuto. Ciò è di fatto una conseguenza della stasi e dell’incertezza del periodo delle restrizioni della pandemia, e un motivo per tornarci più volte, senza quindi pretendere che Does Spring Hide Its Joy possa essere assorbito con la velocità di Living Torch.