25 Aprile 2019
Non è facile spiegare cosa significa che gli Earth tornano alla radice del loro suono a chi li conosce appena. Full Upon Her Burning Lips è il loro decimo album – non contando collaborazioni e remix – e promette infatti di ritrovare il minimo comun denominatore del duo di Seattle. Non è facile perché il loro percorso, dal mitologico Earth 2: Special Low Frequency Version del 1993, passando per la rinascita di Hex: Or Printing in the Infernal Method (2005), fino agli intensi capitoli dell’ultimo decennio, è sempre stato improntato alla ricerca di un minimalismo monolitico. Non ci sono mai stati ornamenti inutili, aggiunte non necessarie o contorsioni sintattiche della formula. Se pensi agli Earth, pensi a scenari desertici e talvolta apocalittici che hanno fatto la scuola del genere drone.
Eppure Full Upon Her Burning Lips risulta netto e ripulito di qualsiasi strumentazione ausiliaria e quindi ancora più puro nell’espressione della poetica della band. Solo basso e chitarra per Dylan Carlson, soltanto batteria e percussioni per Adrienne Davies. Nessuna ospitata illustre. Niente tastiere. Pochissimi effetti in studio. Mark Lanegan non convocato.
Il miglior brano del lotto è probabilmente quello che ha fatto da apripista al disco, ovvero “The Colour of Poison”, nei cui 5 minuti e 30 secondi di continui stop & go ti ritrovi ad ascoltare varie evoluzioni di un riff sonico che, pure nella ripetitività del contorno, non riesci ad addomesticare se non dopo vari tentativi. Intrigante anche la successiva “Descending Belladonna”, in cui si respira un’aria post-Kyuss era Welcome to Sky Valley che raramente è stata così salubre.
Si nota anche che il volume della batteria è più alto e meno laterale rispetto alle prove appena precedenti, tale da sottolineare più dettagli della performance di Adrienne Davies, oltre al suo marziale conteggio del tempo.
C’è qualche riff che può ricordare i tempi dei due Angels of Darkness, Demons of Light, ma il sound generale è davvero ancor più intransigente e ridotto all’osso, e ascoltarsi quest’ora di musica tutta d’un fiato può risultare assai complicato anche a chi ha sempre amato gli Earth. Le tracce hanno un sound molto simile, alcune si assomigliano pure, altre – ci viene in mente “Maiden’s Catafalque” in particolare – fanno di tutto per rivelarsi sfuggenti. Se lo metti in loop, facilmente ti perdi e non sai più dove ti trovi. Fatichi a riconoscere un brano dall’altro. Questo perché i due sono entrati in studio senza una narrativa precisa in testa, affidandosi invece al loro subconscio per sviluppare le traiettorie delle canzoni, che come detto mostrano sottili variazioni tra i passaggi che le compongono, creando un caleidoscopio aurale difficile da memorizzare.
Carlson lo ritiene già il suo miglior disco da quando hanno ricominciato a suonare assieme, quindi dal 2005. Per quanto ci riguarda, Hex e forse anche The Bees… rimangono ben superiori a Full Upon Her Burning Lips, ma possiamo concordare sul fatto che questo è un ritorno in buona forma per i capostipiti del drone. Per un novizio, si può iniziare anche da qui. Per un devoto.. l’essenza della Terra è ancora viva.