Discography Ranking: Sonic Youth

In questi ultimi anni si è fatta avanti una tendenza, sempre più evidente, di nostalgia verso gli anni ‘80, visti da molti come un’irripetibile età dell’oro sia a livello socio-economico sia a livello culturale. E così abbiamo assistito ad un revivalismo sfrontato in qualsiasi ambito, con film, serie tv e dischi che si lanciano all’inseguimento di quell’ottimismo ruggente abusando di ambientazioni ultra colorate e sintetizzatori. Ma gli eighties sono stati davvero segnati solo e solamente da questo pop patinato da filodiffusione, o c’è dell’altro?

In quegli anni, in realtà, nella musica alternativa americana succedeva di tutto. Sono gli anni in cui l’indie americano, tra le sue mille sfaccettature, si sviluppa e progredisce, preparando l’avvento nel mainstream di molte band degne eredi di quelle intuizioni.

Tra tutti, i Sonic Youth certamente spiccano per originalità e qualità della proposta, oltre che per la loro rilevanza storica. Partiti dal rumorismo più estremo, prima di ricondurre il noise alla forma canzone, i newyorchesi hanno il grosso merito di aver anticipato con le loro prime uscite moltissimi temi e sonorità del rock del decennio successivo. Non è un caso che il loro massimo successo arrivi proprio negli anni ‘90, quando il rock indipendente era stato ormai sdoganato e i discografici andavano a caccia di band capaci di riportare le chitarre al centro della scena. Il loro più grande lascito, forse, è quello di aver dimostrato cosa si può creare con le sei corde, arrivando ad estrapolare tutte le potenzialità dello strumento senza perdersi in virtuosismi fini a se stessi, utilizzando feedback e stranezze varie come un autentico marchio di fabbrica sia nei pezzi più diretti che in quelli più dilatati. All’interno della loro discografia, i capolavori assoluti sembrano ormai conclamati. Eppure c’è molto altro da scoprire, perché anche gli episodi minori hanno da offrire momenti interessanti.

Questa classifica si pone dunque l’obiettivo di fare ordine nella discografia di una band seminale, che ancora oggi inspiegabilmente non sempre viene riconosciuta come tale al di fuori del circolo dei più affezionati e della critica specializzata. Giuseppe Rotundo

15. NYC Ghosts & Flowers (2000). Il nuovo millennio non si apre nel modo sperato per la compagine di New York, facendo rapidamente precipitare le aspettative sul nuovo materiale. In tour viene rubata la strumentazione, e ciò li constringerà a ripartire da zero e registrare NYC Ghosts & Flowers, l’episodio meno dignitoso della loro carriera. L’opener offre buoni spunti che sembrano poter allontanare i timori dei più scettici, ma quel che segue mette a nudo la totale confusione insita nelle idee del quartetto; nemmeno i testi legati alla Beat Generation forniranno una boccata d’ossigeno.

Key Tracks: Free City Rhymes

14. Experimental Jet Set, Trash And No Star (1994). Il seguito di Dirty, che aveva portato i Sonic Youth alla ribalta anche commerciale, è il più classico dei dischi di transizione. La band prova a ritornare sui suoi passi rinnegando il sound potente dei due episodi precedenti con questi pezzi brevi, pieni di dissonanze e dal sapore vagamente lo-fi. Il risultato purtroppo finisce per essere un po’ confusionario, come se la band di New York non sapesse bene dove andare a parare. E così, nonostante le buone intenzioni, rimane ben poco da ricordare.

Key Tracks: Bull in the Heather, Sweet Shine

13. Rather Ripped (2006). Con il predecessore Thurston Moore e soci erano riusciti nel tentativo di suonare più puliti senza compromettere il loro nome. Due anni più tardi decidono di forzare la mano, limando eccessivamente le tradizionali sfuriate noise; il risultato è un pop rock asettico, fuori tempo massimo, che ci consegna un LP tenuto in piedi da qualche scelta stilistica azzeccata, dettata principalmente dall’esperienza piuttosto che dall’urgenza espressiva. L’epitaffio non avrebbe tardato ad arrivare.

Key Tracks: Reena, Incinerate

12. The Eternal (2009). Se Rather Ripped aveva provato a smussare gli spigoli, proponendo un indie pop chitarristico che riusciva ad esprimersi con canzoncine dai canonici quattro minuti, The Eternal – di fatto l’ultimo album di canzoni inedite dei Sonic Youth – si trova a ripercorrere tutto quanto proposto nel nuovo millennio dal gruppo newyorkese, nel bene e nel male. Mancano coraggio ed ispirazione melodica, eppure, al termine del tragitto si resta con un forte senso di incompiutezza che certo la colonna sonora di Simon Werner a dispari non ha potuto colmare. Per quanto compendio degli ultimi SY, e nonostante la commovente traccia conclusiva, The Eternal non sembra affatto un album di addio premeditato.

Key Tracks: Massage the History, Sacred Trickster, Malibu Gas Station

11. A Thousand Leaves (1998). La clamorosa pop song “Sunday”, accompagnata da quello che probabilmente è il migliore videoclip della storia della band, è un evidente specchietto per le allodole. A Thousand Leaves è infatti un disco difficile e complesso, che sviluppa quell’idea di psichedelia dissonante che veniva esplorata in “The Diamond Sea”, la traccia conclusiva del lavoro precedente, inserendo nella tracklist pezzi lunghi e articolati. Pur non essendo tra i lavori migliori della gioventù sonica, a conti fatti rimane un episodio sottovalutato e pieno di momenti di pregevolissima fattura.

Key Tracks: Wildflower Soul, Hits of Sunshine (For Allen Ginsberg), Karen Koltrane

10. Sonic Nurse (2004). Sonic Nurse, ovvero i Sonic Youth per neofiti. Con questo disco la band si getta alle spalle le velleità sperimentali di “NYC Ghosts & Flowers” e Il chitarrismo di astrazione post rock di “Murray Street”, riuscendo a suonare in maniera più limpida e pulita. E così questi pezzi scorrono via senza colpo ferire, senza stranezze e senza rischi. Anche col pilota automatico inserito, però, rimangono comunque episodi molto piacevoli che dimostrano ancora una volta il grande talento melodico del gruppo.

Key Tracks: Pattern Recognition, Dripping Dream, I Love You Golden Blue

09. Confusion Is Sex (1983). L’esordio non poteva suonare più crudo e abrasivo di così. L’atmosfera angosciante della metropoli che schiaccia chi la abita si dispiega lungo tutte le tracce – poco coese tra loro, vera debolezza di questo debutto – andando a comporre un albo impenetrabile, che gioca col rumore per la sua assillante mezz’ora di durata; si arriva in fondo con il clima disturbante ormai sottopelle. Forse è proprio la sua inaccessibilità a renderlo così interessante a quasi quarant’anni dalla sua uscita.

Key Tracks: (She’s In A) Bad Mood, Protect Me You, The World Looks Red

08. Goo (1990). Più popolare per la copertina che per il suo contenuto, Goo è l’album che porta i Sonic Youth negli anni Novanta è anche quello del discusso salto in distribuzione major, nonché il complicato seguito del capolavoro Daydream Nation. Si tratta di undici tracce che anticipano il sensazionale noise melodico di Dirty, e che a seconda di come ci si è arrivati, nel loro insieme possono risultare sia sopravvalutate che sottovalutate. Noi che siamo per la pace nel mondo, lo consideriamo sì una versione domestica e ammortizzata, ma anche un atto dovuto se contestualizzato al 1990 e soprattutto al compimento del precedente percorso dei SY.

Key Tracks: Kool Thing, Dirty Boots, Tunic (Song for Karen)

07. Murray Street (2002). Probabilmente l’ultimo LP imprescindibile, esce nel momento di massima popolarità ed esposizione del post rock, ovvero quando questo sembra offrire prospettive interessanti ovunque venga prodotto. Contribuiscono all’evoluzione della specie anche i nostri, con un Jim O’Rourke in più e qualche scazzo isterico in meno. Murray Street è infatti un album accomodante nel suo incedere annoiato, ma che riesce a miscelare bene melodie pop al chitarrismo post tipico di Slint e Tortoise. Niente di particolarmente innovativo già nel 2002, eppure un’opera di fascino immediato che vede i Sonic Youth ancora al passo coi tempi, per l’ultima volta.

Key Tracks: Disconnection Notice, Karen Revisited, Rain on Tin

06. Bad Moon Rising (1985). Bad Moon Rising è un disco crudo, violento, semplicemente noise rock allo stato puro. Negativo e disturbante già dalla copertina, non c’è un attimo di tregua in quella che è un’autentica discesa agli inferi che mette alla berlina tutto l’ottimismo degli eighties americani. Ancora sotto l’influsso della no wave e delle accordature alternative di Glen Branca, la band newyorkese edifica un autentico monumento al rumore, che ancora oggi incute timore. La triade successiva li porterà a creare la formula che li renderà davvero immortali, ma per i più oltranzisti, Scaruffi in testa, è questo il vero opus magnum dei Sonic Youth.

Key Tracks: Death Valley ‘69, I’m Insane, I Love Her All the Time

05. Washing Machine (1995). Il fiasco commerciale di Experimental Jet Set, Trash and No Star mette Thurston Moore e compagni di fronte a un bivio: continuare a inseguire il successo radiofonico e della generazione MTV conseguito con Dirty, ritrovando l’ispirazione pop svanita, oppure riprendere il discorso che si pensava concluso con la trilogia della seconda metà degli anni Ottanta. Per non essere tacciati di essersi venduti, e con il vento del grunge che ormai aveva smesso di spirare forte, decidono di ripartire laddove terminava Daydream Nation. Ne esce fuori Washing Machine, un disco in cui troviamo Kim Gordon protagonista, e che ad oggi non rientra tra i cinque più popolari della band, ma che risulta tra i più apprezzati dai fan.

Key Tracks: Washing Machine, Junkie’s Promise, The Diamond Sea

04. Dirty (1992). La porta d’ingresso per l’universo Sonic Youth per i più è stata questa, e Dirty si sarebbe rivelato fondamentale per l’accesso al noise rock tutto. I newyorkesi indossano la loro veste più commerciale fino a quel momento storico: graffiante, diretta, intensa, figlia anche del periodo grunge. La band crea così la summa del suo percorso artistico, un punto di riferimento a cui tutti si sarebbero ispirati per il resto del decennio. Da qui in avanti tenderanno leggermente a perdere la bussola, sperimentando senza successo, tuttavia regalandoci sporadicamente episodi degni di una discografia che conosce pochi precedenti.

Key Tracks: Theresa’s Sound World, Wish Fulfillment, Sugar Kane

03. Sister (1987). Decadente, incontenibile, trascinante. La gemma più sottovalutata nella produzione anni ’80 del collettivo americano li allontana dalla corrente no wave, e consolida la svolta nel sound avvenuta con EVOL, permeato di componenti post punk e psichedeliche. Dieci in totale i brillanti pezzi che incorporano le inizialmente tanto ripudiate coordinate melodiche, quasi pop. Guai a bollarlo come un semplice preludio a Daydream Nation, poiché se non fosse per una seconda metà a tratti inferiore alla clamorosa controparte, occuperebbe un gradino più alto del podio.

Key Tracks: Schizophrenia, Catholic Block, Cotton Crown

02. EVOL (1986). La gioventù sonica riesce ad assestare le idee convulse degli esordi e a trovare la formula che li porterà nell’olimpo dei grandi. Nella sua forma canzone e nella sua psichedelia veicolata con un gusto pop fino a quel momento sconosciuto alla band, EVOL suona ancora oggi inossidabile. La sua equidistanza fra l’opus magnum Daydream Nation e l’immediatezza irriverente di Dirty, lo rendono l’album perfetto per entrare nei Sonic Youth, capirli e stabilire che alla fine dei giochi, il meglio era già stato tutto proposto nel 1986.

Key Tracks: Tom Violence, Shadow of a Doubt, Green Light

01. Daydream Nation (1988). In vetta al nostro ranking non poteva che esserci uno dei dischi più iconici ed influenti della musica alternativa americana, un autentico capolavoro che non ha perso un briciolo del suo fascino e non rischia di essere soggetto a valutazioni al ribasso. Qui il percorso dei Sonic Youth trova il suo ideale compimento, affinando quanto già visto nei due dischi precedenti e trovando l’equilibrio perfetto tra melodia e rumore. Le chitarre di Moore e Ranaldo raggiungono l’apice, destreggiandosi tra decine di stili diversi con una incredibile capacità di tessitura, in brani che sembrano rinascere in continuazione. Se ci aggiungiamo anche uno Shelley in stato di grazia ed una Kim Gordon capace di essere aggressiva e conturbante al tempo stesso, capirete che è davvero difficile chiedere di più ad un disco indie.

Key Tracks: Teen Age Riot, ‘Cross the Breeze, Trilogy