14 Novembre 2021
The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows è il secondo vero e proprio disco solista di Damon Albarn, e segue quell’Everyday Robots (2014) che per quanto ci riguarda, ha aperto la fase di seconda giovinezza dell’artista.
Nel giro di pochi anni, infatti, sono arrivati degli album che magari non hanno ricevuto lo stesso plauso e riconoscimento dei tempi d’oro dei Blur e dei primi Gorillaz, ma che hanno nuovamente portato Damon a raggiungere i livelli massimi di cui era stato capace anni addietro. Il sottovalutatissimo The Magic Whip, che salutava con un certo orientalismo di fondo la reunion dei Blur, il cupissimo Merrie Land, sorta di disco ufficiale della (anti)Brexit, finito perfino nella nostra top 100 di fine decennio, e The Now Now, ovvero il momento introspettivo dei Gorillaz, sono stati tappe di un percorso che ha visto il Nostro destreggiarsi su temi sonori e poetici differenti con eclettismo e ispirazione, senza mai mascherarsi troppo, piuttosto rimanendo sempre molto riconoscibile. E sempre geolocalizzandosi laddove sentiva di poter ricavare le migliori vibrazioni.
Parte dall’Islanda, dove Albarn ha acquistato una casetta oltre vent’anni or sono, ma si ritrova – causa Covid – inevitabilmente invischiato nelle questioni londinesi, il nuovo The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows. Si tratta di un albo che si pone un po’ a mezza via tra il primo solista (e chiaramente non teniamo conto delle release più etno e sperimentali degli anni precedenti) e lo stesso Merrie Land, dedicando all’amico batterista Tony Allen – scomparso nella prima fase della pandemia – e compagno nel progetto The Good, The Bad & The Queen l’iniziale titletrack.
Dicevamo che nonostante la camera con vista sul mare e i ghiacci d’Islanda, l’album suona nuovamente londinese, anche per via della strumentazione utilizzata: harmonium, farsifa, organetti di varia caratura, wurlitzer e archetti impostano il suono su atmosfere meno digitali che in Everyday Robots e più calde, come quelle di un cantautorato che dal rock si è spostato su coordinate pop da camera, ingentilite da tocchi di soft jazz – essenziale il contributo di Mike Smith in questo senso – e solo raramente invigorite da riverberi e graffietti di chitarra elettrica.
Non ci sono pezzi che spiccano sugli altri: ti convince in pieno, o non ti convince affatto. The Nearer The Fountain, More Pure The Stream Flows è adulto e introspettivo, certo meno immediato del previsto, mancando di ritornelli e soprattutto di slanci vocali reminiscenti di un passato forse ormai recuperabile solo con una nuova reunion dei Blur, che comunque ci auguriamo.
Se i primi ascolti integrali confermano quel pizzico di scetticismo di troppo dato dal non entusiasmo per le varie tracce che ne hanno anticipato l’uscita, andando avanti con gli ascolti il nuovo di Damon Albarn si rivela invece un lavoro dalle basi molto solide, e che nonostante nasca dall’aborto di un progetto ben differente, forse quello dove davvero si doveva sentire o immaginare l’Islanda anziché Londra, ci fa ritrovare l’artista ancora in buonissima forma, esattamente sulla scia dei dischi della fase-maturità che menzionavamo a inizio recensione. Se la pensate come noi su quel filotto di album, allora proseguite anche con questo.