SOPHIE – Oil of Every Pearl’s Un-Insides

SOPHIE – Oil of Every Pearl’s Un-Insides

È bene dirlo subito, prima di qualsiasi altra cosa: questo è uno dei dischi elettronici dell’anno. Punto. Ok, abbiamo fatto le presentazioni, ma prima di andare avanti occorre fare un paio di considerazioni.
La prima: se ragioniamo sulle ultime uscite di Arca, OPN, Lotic ed appunto Sophie (la scriviamo in minuscolo per pura comodità), viene quasi da delineare un trend, che porterebbe da un certo tipo di electro impenetrabile a una proposta più accessibile, o per lo meno provvista di melodie vocali (e non) riconoscibili, laddove prima c’erano solo bleeps and bloops. Quindi la nostra, nel disco di debutto non solo ci mette la voce, ma anche la faccia, rivelandosi al pubblico per la prima volta ed espandendo la proposta in tantissime direzioni. La seconda: il collettivo PC Music è ormai sulla bocca di tutti, e a ragione, sono ormai i prezzemolini di un certo tipo di produzioni con un piede nel mainstream e l’altro nelle nostre zone (gli ultimi due esempi di un certi livello sono Vince Staples e Charli XCX). Non è un caso, quindi, si parla di Sophie come la prossima stella del pop o, per meglio dire, della stella del prossimo pop.

Prendiamo la prima traccia, “It’s Ok to Cry”: è una canzone pop mainstream a tutti gli effetti, con la voce impostata e melensa e l’evoluzione tipica di una canzone a caso di una stellina scialba del pop – prendete una Pink qualsiasi come riferimento. Tutto questo fino a 3 minuti circa. Poi arrivano le deviazioni. Le distorsioni. Le esagerazioni. Arriva un’invasione sonora acida, l’unica invasione della quale ci piace sentir parlare, ed ecco che una traccia pronta per l’heavy rotation diventa una traccia nostra. E il resto del disco “peggiora” anche. Se da un lato ci sono degli anthem di pop mainstream in cui possiamo ancora rintracciare quella giocosità zuccherosa dei tempi PC music (“Immaterial”, “Whole New World/Pretend World”), anthem pop mainstream che però non vedranno mai le arene per i motivi di cui sopra, dall’altro ci sono pezzi tanto sexy quanto malefici come “Ponyboy” o “Faceshopping”, completamente ostici per un pubblico di non iniziati: tracce convulse, suoni ultra-futuristici, ritmi spezzettati, voci sintetiche, melodie destrutturate, non c’è nulla che sia adatto a passare in radio. Ed è una goduria. Addirittura si trova tempo e spazio per intimistiche e a tratti commoventi divagazioni drone/ambient (“Is it Cold in the Water?”). Grande conferma per quelli di noi che già l’apprezzavamo, probabilmente ancora troppo poco approcciabile per tutti gli altri.
Spero che il risultato della collaborazione tra la nostra e Lady Gaga veda la luce, perché quello potrebbe essere un corto circuito che potrebbe portare alla ribalta la nostra prediletta. Ma purtroppo ne dubito.
Ci dispiace Sophie, sei la popstar di cui avremmo bisogno ma che, evidentemente, non meritiamo.
Certo è, però, che se vi sta a cuore capire dove ci stiamo dirigendo musicalmente nell’elettronica declinata in salsa pop, un ascolto a questo disco glielo dovete.