5 Marzo 2017
L’argentino Gustavo Cerati è una delle più grandi icone musicali che l’America Latina abbia mai avuto, anche se la maggior parte degli addetti ai lavori e degli appassionati in Italia non sembra essersene accorta o pare riluttante all’idea di dover ascoltare musica rock al di fuori dell’universo anglofono.
Con i Soda Stereo, assieme al bassista Zeta Bosio e al batterista Charly Alberti, Cerati è riuscito a conquistare per la prima volta il mercato discografico di tutti i paesi ispanofoni del continente americano, generando un fenomeno di massa ribattezzato Soda-manía. L’isteria collettiva che ne è conseguita ha scardinato i confini nazionali della gloriosa tradizione argentina in campo rock, fino a raggiungere le comunità ispaniche residenti negli Stati Uniti.
Eccellente chitarrista, dotato cantante, produttore e sperimentatore elettronico: Gustavo Cerati è stato tutto questo e anche di più, poiché il suo mito ha attraversato diverse generazioni e il peso della sua figura è stato fondamentale in generale per lo sviluppo del rock latinomericano a cavallo fra gli anni ottanta e novanta. Un’influenza talmente ampia che possiamo ritrovarne la traccia nel primo album omonimo dei Caifanes, una delle più importanti rock band messicane.
L’immagine di Cerati ha poi oscurato la visibilità delle realtà locali, come dimostra il caso dei Los Prisonieros in Cile, e il suo talento contribuito alla realizzazione di dischi altrui (vedasi i Babasónicos degli esordi). Nel frattempo si sono generate rivalità con altri complessi argentini a livello di fan base, come quella con i Los Redondos di Indio Solari (Patricio Rey y sus Redonditos de Ricota) e i Sumo dell’italiano in fuga Luca Prodan. Detto ciò, per inquadrare la discografia dei Soda Stereo e di Gustavo Cerati in solitaria bisogna tenere presente che ogni disco cambia direzione, toglie o aggiunge qualcosa ai precedenti, in un cammino che è un continuo e sorprendente reinventarsi fra i più svariati generi musicali.
Il debutto dei Soda Stereo su full-lenght avviene con l’omonimo Soda Stereo (1984): siamo di fronte a una band immatura, che non ha trovato ancora la propria strada e che si limita a imitare impeccabilmente i propri complessi inglesi preferiti, Police su tutti, con qualche incursione nella musica ska. Spiccano comunque il primo capolavoro “Trátame Suavemente” (firmato dal collaboratore Daniel Melero) e la produzione accuratissima del leader dei Virus Federico Moura, uno dei gruppi più prestigiosi della scena new wave argentina.
Il successivo Nada Personal (1985) compie un deciso balzo in avanti nella rielaborazione delle sonorità new wave britanniche: sebbene la lettura superficiale del titolo sembri suggerire una dimensione ancora derivativa, il rock andino di “Cuando Pase El Temblor”, che mischia in modo originale il ballo tradizionale del carnavalito con gli ammiccamenti al reggae, si pone come una pietra miliare istantanea della band. Contribuisce alla sua diffusione anche un suggestivo videoclip girato fra le rovine di un’antica fortezza Inca, il Pucarà di Tilcara. Il successo è clamoroso e fa passare in secondo piano tutto il resto, pure canzoni che brillano di luce propria come “Nada Personal” ed “Ecos”.
Il disco chiave dei Soda Stereo degli anni ottanta è però Signos (1986): qui le influenze post punk e new wave giungono a una maturazione completa, che abbandona gli scatti ska e reggae degli esordi a favore di canzoni bilanciate e finalmente coese fra loro. L’hit principale è “Persiana Americana” ma ogni brano diventerà con il tempo un classico riproposto dal vivo. Non a caso, Signos viene comunemente annoverato fra i più grandi dischi di sempre del rock latino. L’iniziale “Sin Sobresaltos” d’altronde non sfigurerebbe in un album dei migliori Teardrop Explodes con quei fiati scatenati a fare da contorno.
Per non parlare della canzone che dà il nome all’album; “Signos” di fatto fa un po’ a storia a sé, essendo uno dei pochi brani dei Soda Stereo dove Cerati abbandona completamente la chitarra elettrica per imbracciare l’acustica, coadiuvato dalle note del pianoforte e dai synth oltre che dall’affiatata sezione ritmica composta da Bosio e Alberti. Semplicemente epico poi il crescendo di “Prófugos”, con un transitorio assolo di Cerati a riscaldare l’atmosfera.
Doble Vida (1988) è da tenere in considerazione perché vanta la produzione e la partecipazione di Carlos Alomar, storico chitarrista e collaboratore di David Bowie. Si sperimenta con la musica funky, soul e finanche rap. “En El Borde” è il primo pezzo del genere in un disco proveniente dall’America Latina. Ma il momento saliente dell’album è il singolo “En La Ciudad De La Furia”, che si riallaccia alla new wave e dipinge un affresco memorabile della città di Buenos Aires. Probabilmente, riascoltandolo ora, le tracce più tradizionali come “Picnic En El 4o B” o “Corazón Delator” spiccano sulla visione d’insieme e il sound non è più alla moda, ma con questo album i Soda Stereo si affacciano sul mercato musicale degli Stati Uniti, concludendo la conquista delle Americhe.
Canción Animal (1990) è l’album della consacrazione internazionale e sancisce una svolta radicale: chitarre fragorose in evidenza, sentori quasi grunge che non rinunciano però a un melodismo pop estatico. Questo è il Nevermind del latin rock e “De Música Ligera” la sua “Smells Like Teen Spirit”; un inno generazionale che ha cambiato per sempre la faccia del rock in spagnolo, senza tuttavia quella poetica aggressiva che contraddistingueva Kurt Cobain e compagni. Al contrario, “1990” sarebbe potuta diventare brit pop ante litteram se solo fosse stata cantata in inglese, mentre“(En) El Séptimo Día” e “Hombre Al Agua” sono cariche di elettricità. Come se non bastasse, il fuoco elettrico dell’hard rock pervade pure “Sueles Dejarme Solo”.
Abbiamo poi le grandi canzoni dove affiora in maniera decisa l’anima cantautorale di Cerati: segnaliamo le indimenticabili “Té Para Tres”, “Entre Caníbales ” e “Un Millón De Años Luz”, autentici capisaldi riconosciuti della musica latina.
Dynamo (1992) rimescola un’altra volta gli ingredienti e punta dritto allo shoegaze.
Un genere che nelle mani di Cerati si fonde con l’elettronica, diventando più caldo e seducente. Emblematica da questo punto di vista “Nuestra Fe”, con i sintetizzatori di Daniel Melero sugli scudi. Per di più, nascono pezzi che un complesso shoegaze europeo non avrebbe mai potuto concepire, come l’esotica Sweet Sahumerio (con tabla, tambura e sitar) e le jazzate Fué e Camaleón, arricchite dalla tromba di Flavio Etcheto.
Tra l’altro, si dice che proprio in questo periodo la musica dei Soda Stereo sia giunta alle orecchie degli U2, nonostante i fan rimasero sul momento spiazzati dalle nuove, modernissime e inaudite sonorità, le più audaci sperimentate dal gruppo fino a quel momento. È curioso in ogni caso notare come la famosissima “Lemon” giochi con effetti elettronici vagamente simili a quelli di “Claroscuro”.
Dal canto loro, le chitarre fiammanti dei singoli “Primavera 0” e “Texturas” strizzano l’occhio al noise rock, senza però rinunciare ai ritornelli costruiti attorno ai vocalizzi eterei di Cerati.
Inoltre, ascoltando il trittico iniziale formato da “Secuencia Inicial”, “Toma La Ruta” e dalla celestiale “En Remolinos”, si capisce come la critica sudamericana abbia potuto accostare Dynamo a Loveless dei My Bloody Valentine. Stando alle parole di Cerati, la vetta più alta raggiunta dai Soda Stereo.
Sul successore Sueño Stereo (1995) le stratificazioni sonore shoegaze fanno capolino un’ultima volta nell’incalzante “Ángel Eléctrico”, per poi sfumare in un art rock estremamente sofisticato, capace di comunicare tanto con il brit pop dell’epoca quanto con la musica neopsichedelica di “Planta”. I seguaci dei Radiohead e di Thom Yorke troverebbero pane per i loro denti.
Tuttavia, Cerati è ormai sempre più preso dall’elettronica, come testimonia l’uso smodato dei samples in “Zoom” ed “Efecto Doppler”, mentre X-Playo, movimento centrale di una suite che idealmente evoca i grandi concept album del rock progressivo, richiama persino alla mente il minimalismo colto di Steve Reich.
Registrato e mixato tra Buenos Aires e Londra, Sueño Stereo è trascinato dal rock cameristico di “ Ella Usó Mi Cabeza Como Un Revólver” e da quello sintetico di “Disco Eterno”. Menzione a parte meritano “Ojo De La Tormenta” e “Crema De Estrellas”, impreziosite dal piano rhodes dell’ospite Roy Mágala.
Questo è l’ultimo disco in studio della band prima dello scioglimento avvenuto nel 1997 ed è anche il più variopinto sul piano musicale. La chiusura del cerchio, con la consapevolezza di aver dettto tutto quello che c’era da dire e di non potersi più superare.
L’originale MTV (Un)plugged semi elettrico dell’anno seguente (1996), registrato dal vivo a Miami e pubblicato solo parzialmente sotto il nome “Comfort Y Música Para Volar”, ha un impatto sociologico e un’intensità nelle interpretazioni equiparabile solamente a quello dei Nirvana.
Viene a galla tutta la perizia del Cerati chitarrista, che fa quello che vuole con differenti modelli di chitarra elettrica e acustica. Il pubblico pende dalle sue labbra e nella strabiliante cover finale di “Genesis” dello storico gruppo argentino Vox Dei cade ai suoi piedi. Cerati omaggia anche altri suoi riferimenti musicali: il rifacimento di “Un Misil En Mi Placard”, canzone dell’album di esordio, è basato sul riff di “Chrome Waves” dei Ride e Té Para Tres cita nell’assolo “Cementerio Club” di Luis Alberto Spinetta, altra leggenda del rock nacional argentino. Peraltro, Il look con gli occhiali da sole è un tributo a Jeff Lynne della Electric Light Orchestra.
La ristampa del 2007 provvede a ripristinare la scaletta originale del concerto (l’originale del ’96 rimediava alle mancanze con alcune b sides di Sueño Stereo). Nello stesso anno avviene la reunion dei Soda Stereo per un grandissimo tour celebrativo (Me Verás Volver) attraverso paesi come Argentina, Messico, Ecuador, Cile, Colombia, Panamá, Venezuela, Perù e Stati Uniti.
Menzione a parte merita la carriera solista di Cerati, altrettanto importante e significativa, in definitiva senza macchie. Indispensabile innanzitutto Colores Santos (1992), composto in coppia con Daniel Melero, ombra di Cerati e quarto Soda in più occasioni.
Colores Santos è allineato con i tempi se non in anticipo rispetto alle tendenze elettroniche dell’epoca, perché “Madre Tierra” prefigura i battiti jungle screziati di jazz degli Spring Heek Jack mentre “Alborada” è musica ambientale avveniristica che potrebbe piacere ai fan di Fennesz. Senza eguali è invece la fusion fra pianismo new age e dance di “Quatro”. Due videoclip sbarcano pure su MTV: trattasi del magico dream pop cosmico di “Vuelta Por El Universo” e del pop rock alternativo di “Hoy Ya No Soy Hoy”, che alterna con nonchalance riff acustici e distorsioni.
Amor Amarillo (1993) è il primo vero disco solista che tiene insieme le due anime di Cerati; quella rock oriented, rintracciabile sia nella title track che nella cover di Spinetta “Bajan”, e quella elettronica, la quale emerge in maniera prepotente con il synth pop futuristico del singolo “Pulsar”. Gli altri cavalli di battaglia sono costituiti dalla splendida ballata “Lisa” e dalla scanzonata “Te Llevo Para Que Me Lleves”, duetto con l’artista e modella cilena Cecilia Amenábar, ai tempi moglie di Cerati e madre dei suoi due figli Benito e Lisa.
Bocanada (1999) è il magnum opus, il capolavoro di una carriera. L’approdo definitivo, la sintesi di tutto quello che Cerati rappresenta e ha rappresentato per un continente. Ma pure una tappa che illustra lo stato dell’arte riguardante le possibilità di ibridazione fra rock ed elettronica alla fine del decennio.
Realizzato sfruttando le potenzialità del sampler MPC 3000, Bocanada presenta campionamenti massicci nello stile del trip hop (Cerati non ha mai nascosto la sua ammirazione per i Massive Attack), che vanno dalla percussività tribale di “Tabù” alla world music di “Raíz”. Ma ci sono anche la magniloquenza sinfonica di “Verbo Carne”, con i musicisti della London Session Orchestra diretti da Gavin Wright, e il rock melodico di “Puente”, oltre agli esperimenti con la chillout di “Aqui & Ahora” e “Y Si El Humo Está En Foco”. Altri brani invece sono riconducibili a una nobile forma di musica d’autore, come “Bocanada”, “Perdonar Es Divino” e “Beautiful”, quest’ultima abbellita dall’organo di Tweety Gonzáles, già tastierista dei Soda Stereo. Nondimeno, c’è spazio per il rock n’ roll del Duemila di “Paseo Inmoral” (con una traccia di Gary Glitter) e per una strumentale all’avanguardia del calibro di “Balsa”, che sovrappone il vibrafono 3D alle apparecchiature elettroniche.
Degni di nota anche i testi, ispirati dalle figure poetiche di Alejandra Pizarnick e Jorge Luis Borges. A sua volta, la bellissima cover dell’album, che apparentemente ricorda quella di Low di David Bowie, si rifà alla fotografia che Lothar Wolleh scattò a René Magritte.
Se fosse uscito in Gran Bretagna o negli Stati Uniti, Bocanada apparirebbe in tutte le liste dei migliori album degli anni novanta.
Sempre nel 1999 vede la luce Medida Universal sotto il moniker Ocio, progetto parallelo di Cerati in collaborazione con Flavio Etcheto. Oscurato da Bocanada, l’album può rientrare in linea di massima nel genere della cosiddetta intelligent dance music, con un approccio però forse più vicino alla minimal techno berlinese dei Basic Channel che agli Autechre e Aphex Twin. Videoclip per “Lolol” diretto da Cecilia Amenábar.
Plan V e Roken sono altri progetti elettronici, materiale per i fan più accaniti. Come la colonna sonora +Bien del resto e il live 11 Episodios Sinfónicos (2001).
Siempre Es Hoy (2002) riparte dal lato elettronico di Bocanada (i campionamenti abbondano sempre) ed è il disco più denso e lungo mai pubblicato da Cerati con ben 17 canzoni. Complessivamente meno eclettico rispetto al predecessore e ancora più orientato verso il pop (da manuale il singolo “Karaoke”), tanto da ricevere una nomination ai Latin Grammy Awards. Non si tratta però ovviamente di banale musica di consumo: se “Artefacto” farebbe oggi felice il Trent Reznor più orecchiabile, “Tu Cicatriz En Mi” possiede ricami glitch in sottofondo che potrebbero rimandare ai lavori sperimentali di Vladislav Delay. “Altar” riesce anche nel compito di flirtare con l’hip hop senza sbavature. L’ospite d’eccezione è il connazionale Charly García, nome tutelare del rock latinoamericano, che con le sue tastiere rifinisce due ballate di alta classe: “Vivo” e “Sudestada”.
Ahí Vamos (2006) segna il ritorno a un rock duro e crudo, a canzoni formalmente più semplici e dirette ma pienamente centrate, come testimonia il successo dei singoli: la romantica “Lago En El Cielo” e la nostalgica “Crimen”. Nel senso genuino del termine, questo è uno dei grandi dischi rock del nuovo secolo: “Bomba De Tiempo” è infatti una lezione ai gruppi indie-rock emergenti che in sede live fa venire giù i palazzetti e “Jugo De Luna” offre una suggestiva interpretazione del revival new wave di questi anni, recuperando per un attimo l’elettronica. Magistrale il midtempo intimista di Adiós, prima collaborazione con il figlio Benito (classe ’93, attualmente attivo come Zero Kill).
Il tour promozionale tocca città americane (Chicago, New York) ma pure l’Inghilterra con Londra.
Fuerza Natural (2009) è l’ultimo capitolo prima dell’ictus che colpirà Cerati alla fine di un concerto a Caracas il 15 maggio 2010. Forse prevedibile nel recupero di certe citazioni rock classiche e folk/country, fra chitarre acustiche e mandolini, ma non è da tutti sfornare un disco pop rock così godibile e ben prodotto arrivata la soglia dei cinquant’anni. Nuova linfa arriva dal giovanissimo Benito, che stavolta collabora con il padre alla stesura di ben quattro brani (“Fuerza Natural”, “Desastre”, “Rapto”, “Sal”). Latin Grammy Award per “Déjà Vu” nella categoria migliore canzone rock ma a dirla tutta anche il pathos di “Magia” meriterebbe un premio.
Gustavo Cerati si spegne il 4 settembre 2014 dopo quattro anni di coma a causa di un arresto respiratorio. La commozione generale è grande, la sensazione di vuoto incalcolabile. Il mondo ispanico americano, dalla natia Argentina al Messico, è in lutto. Negli anni del coma nomi celebri del rock come Bono Vox e Roger Waters si erano interessati alle sue condizioni di salute. Shakira non aveva risparmiato parole al miele per il suo idolo, grata per l’aiuto e il supporto ricevuto da Cerati in alcune proprie canzoni. Anche Papa Francesco era sceso in campo tramite una lettera inviata alla madre Lilian Clark.
Migliaia di persone riempiono le strade di Buenos Aires durante il suo funerale, seguito in diretta dalle principiali emittenti tv del Sud e Centro America.
Sui cartelli autostradali della città compare infine lo slogan con cui era solito ringraziare il proprio pubblico e con il quale riteniamo opportuno terminare questo articolo: “Gracias totales!”.
Stefano Villa