Jeff Rosenstock – POST-

Jeff Rosenstock – POST-

“You promised us the stars, and now we’re tired and bored”. È questo che urlano in coro contro gli USA i nuovi bambini del punk rock, nella prima traccia dell’ultimo lavoro di Jeff Rosenstock, che arriva all’orecchio fresco e arrabbiato come una party studentesco.

[Tweet “La condizione del “dopo” in un’America oggi come non mai flagellata dai suoi stessi sogni.”]

Basta la prima traccia a chiarire l’intelligenza compositiva di una formazione che gioca con la velocità, fa ripiegare le strutture su se stesse e non ha paura di cazzeggiare, conferendo quel gusto del tirato via apposta che restituisce leggerezza e tanta verità alle canzoni. Se cercate un suono nuovo o un arrangiamento che non vi porti alla mente qualcosa di già sentito non è il disco per voi. Non è un lavoro di ricerca, e infatti dice tutto al primo ascolto, fai fatica quasi ad accorgertene e stai già muovendo il piedino, anche se magari la coscienza ti dice che non c’è tanto di nuovo sotto il sole. Ed è vero, verissimo, ma se uno fa la solita cosa trita e ritrita e riesce non solo ad uscirne indenne, ma pure a regalarti qualche bella emozione, significa che il disco c’è: ci sono le melodie, il ritmo non ne parliamo, e i testi poco amichevoli che riflettono sulla condizione del “dopo” in un’America oggi come non mai flagellata dai suoi stessi sogni.

Jeff Rosenstock e i suoi giocano letteralmente col niente: chitarre distorte, organetti sotto pelle a dare colore e un batterista che non molla un colpo neanche se lo metti alla gogna. C’è tanta alchimia, immediatezza, e soprattutto voglia, voglia fino a dopodomani di ballare insieme, cantare insieme, senza quella pretesa a volte un po’ posticcia (appunto) di ideare un marchingegno impossibile o scoprire la nuova El Dorado: è già successo, resta solo la disillusione, fare i conti col fatto che ti hanno preso in giro, e dover ricominciare da capo, rifare tutto nonostante il futuro ci sia rimasto secco anche stavolta. POST- quasi prende in giro se stesso col suo nome: è un disco punk, college e surf rock, niente di più e niente di meno, e come ci riesca è un piccolo mistero, ma ha tutto quello che serve per accendere una notte troppo insipida o un pomeriggio che tramonta già alle due e quaranta.

Difetti? Come detto, niente di nuovo, anzi. Quando i bpm rallentano ma le melodie restano dolcemente amare si rischia di perdere un po’ l’appiglio e voltarsi dall’altra parte; ma l’abbondanza di variazioni e capriole dentro ogni canzone contrasta coscientemente questo rischio. I cori a volte risultano un po’ troppo pronunciati forse, ma sta tutto nel genere, nella stessa idea di comunità irrisoria che sta alla base del disco. Tornerà buonissimo per l’estate, e nel frattempo tutte le volte che non riuscite a stare fermi, o che vi serve una ragione per portare fino in fondo un’altra giornata, pur sapendo che, alla fine, non cambierà nulla.