Eli Keszler – Stadium

Eli Keszler – Stadium

Non c’è abbastanza elettronica per inserirlo nella chart riepilogativa di fine 2018 che stiamo per pubblicare. E per quanto ampie siano le maglie del nostro concetto di rock, non siamo riusciti a considerarlo post-qualcosa e quindi aggiungerlo alla classifica più generica di qualche giorno fa. E allora Stadium di Eli Keszler è la prima, maiuscola menzione d’onore che estraiamo sulla ruota di un’annata che sembra lasciare poche cose veramente indispensabili. 

Eli è un performer poliedrico della scena di New York City. Nasce come percussionista, diviene artista concettuale che spazia dall’avant-jazz a dei visual grafici che proiettati durante le sue esibizioni, formano installazioni sinestetiche. Un po’ complicato da spiegare, molto meno da ascoltare ed apprezzare.

Le dodici tracce di Stadium nascono da percussioni acustiche che non sembrano registrate in uno studio professionale, bensì in uno spazio aperto, durante una performance live, seduto davanti al drumkit. E infatti a primo ascolto pare impossibile che Keszler stia effettivamente suonando dal vivo. Abbiamo invece creduto di trovarci ad ascoltare musica elettronica che incrociasse jungle e jazz in uno strano ibrido puntinista dal sound grezzo e naturale.

L’approccio è quello di un artista d’avanguardia jazz, in effetti, con tutta la complessità ritmica e la confusione free-form del caso, che però proseguendo con gli ascolti, disegna forme geometriche definite in uno schermo – ma dovremmo dire spazio – che solo apparentemente è digitale. La registrazione, anche dalla versione CD in nostro possesso, riesce a catturare queste forme poligonali in movimento sulla mappa topografica, nel senso che anche dalla masterizzazione digitale si gode pienamente del suono fisico e vivo della performance di Keszler. Proprio per questo suo risultare in bilico fra la musica elettronica e quella jazz, forse il formato migliore per ascoltare questi brani è proprio il vecchio e mai del tutto superato compact disc.

Stadium sa fare sia da sottofondo a una lettura, che scandire il ritmo di una giornata di lavoro, di un percorso a piedi o in bicicletta, piuttosto che in automobile, dove eventualmente, con il dovuto impianto stereo, vi sembrerà che Eli vi si sia piazzato sui sedili posteriori a sbattere la sua cianfrusaglia. 

Ma soprattutto, Stadium di Eli Keszler è un grande disco perché riesce ad essere musica dai toni sia caldi che freddi, sia fusion jazz mattutina che ambient noise notturna. Il tutto con un ingegno e una perizia tecnica che non pesano mai sulla piacevolezza d’ascolto. Cercatelo in Rete, e semmai portatevelo a casa.