2 Ottobre 2016
“To our Fans and Friends: As R.E.M., and as lifelong friends and co-conspirators, we have decided to call it a day as a band. We walk away with a great sense of gratitude, of finality, and of astonishment at all we have accomplished. To anyone who ever felt touched by our music, our deepest thanks for listening.” R.E.M.
Sono trascorsi cinque anni dal giorno in cui i REM ci hanno lasciato a piedi, e ancora ricordo la sensazione terribile provata in quelle ore. Erano stati con me sin dall’inizio del mio percorso musicale, cominciato con la cassettina di Out of Time – comprata perché quell’estate impazzava “Losing My Religion” – e con i vecchi video degli anni Ottanta che di rado passavano su VideoMusic. C’erano da prima, e ci sono sempre stati, anche quando per sentirmi più alternativo li avevamo un po’ snobbati, in favore dei gruppi grunge, del crossover californiano e del post rock, convinto che si fossero commercializzati troppo, manco fossero diventati gli U2. “And change is what I believe in”.
Di colpo però erano spariti, e se non c’era più modo di chiedere perdono, l’unica via per tornare indietro e rivivere quelle pagine della mia vita è stato rimettere su tutti quei quindici album, in una scorpacciata sentimentale e ipocrita allo stesso tempo, e rileggere tutte le pagine dei topic dei forum musicali a cui avevo partecipato negli anni, quelli ancora attivi, e quelli ormai morenti per colpa di Facebook, delle nuove fasi della vita con cui tutti noi che quei forum li popolavano abbiamo dovuto fare i conti, e della disaffezione generale per il rock in età adulta. Che gruppo sono stati i REM. Ci ripenso ogni tanto, davvero. Quante canzoni strepitose soprattutto. Tantissime. Ne hanno più dei Beatles o dei Rolling Stones. Non è una bestemmia dirlo!
Oggi proviamo a formalizzare un ranking che mette in fila tutta la discografia della band di Athens (esclusi EP e live), non in ordine cronologico, ma dal meno bello al migliore, che trovate in fondo all’articolo. Potrete non condividere, e in caso sentitevi liberi di fornire le motivazioni e la vostra contro-classifica in fondo, nei commenti di Disqus.
E ora, let’s talk about the passion.
15. Around the Sun
L’unico disco completamente fuori fuoco di Michael Stipe e soci. Avrebbe avuto pure un senso, perché la scelta di uscire con un album di pressoché sole ballad era comunque intrigante arrivati a quel punto della storia. Poi però ci devono essere le canzoni. E qui, a parte il ripetitivo singolone iniziale, non c’erano proprio. Un pasticcio soft rock sintetizzato che anche al suo interno non sa bene dove andare a parare.
Key Tracks: Leaving New York; The Outsiders; Electron Blue
14. Collapse into Now
L’epitaffio doveva essere più convincente. Invece, dopo la scarica d’adrenalina di Accelerate, il messaggio d’addio è affidato a brani che solo in pochi casi riescono a non suonare già sentiti meglio altrove. Cliché e dejà-vù sono davvero troppi, e a posteriori, è chiaro sin dalla cover che avessero voglia di smettere. Sarebbe stato saggio includere anche “We All Go Back Where We Belong”, pubblicata separatamente qualche mese dopo. Peccato anche per un pezzo straordinario come “U-Berlin”, che avrebbe meritato un video di accompagnamento degno di quelli del glorioso passato.
Key Tracks: Discoverer; U-Berlin; Oh My Heart
13. Up
L’episodio più confusionario, e forse proprio per questo, per alcuni uno dei più affascinanti, pure con tutti i suoi evidenti difetti, su tutti una prolissità non solita che non permette l’ascolto integrale. Dovendo fare di necessità virtù vista la dipartita di Bill Berry, e volendo forse rispondere ai Radiohead di Ok Computer, Up è l’album più diverso di tutta la discografia della band. Che dire… togliete il nome REM dalla copertina e non lasciatevi suggestionare. Alla peggio c’è “Daysleeper”, che già basta.
Key Tracks: Daysleeper; Sad Professor; Walk Unafraid
12. Fables of the Reconstruction
Se il mistero di Fables rimane intatto a distanza di tanti anni, è perché nel tempo è rimasto ben nascosto tra i capolavori del primo periodo, e perché nella seconda metà ci sono pezzi difficili da memorizzare con pochi disordinati ascolti. Una produzione migliore, più pulita, gli avrebbe sia giovato che nociuto, ma soprattutto, si fa l’errore di pretendere che siano tutte canzoni del livello delle prime tre: impossibile!!! Poi però, se si va più in profondità, viene fuori un disco pienissimo di sottolivelli. Teniamocelo così, imperfetto e impenenetrabile.
Key Tracks: Driver 8; Maps and Legends; Feeling Gravity Pulls
11. Out of Time
I più grandi specchietti per le allodole della storia del rock sono qui. Quanti all’epoca hanno comprato quella musicassetta o quel CD, e da quel momento, avendovi trovato anche qualcos’altro per cui emozionarsi, hanno imboccato la retta via? È anche finito nelle case di tanti che poi hanno ascoltato solo “Losing My Religion” e “Shiny Happy People”, e skippato selvaggiamente il resto, ma dentro c’era anche molto altro per cui entusiasmarsi. Era molto più figo il collegiale Green, ma il botto definitivo l’hanno fatto qui.
Key Tracks: Losing My Religion; Low; Country Feedback
10. Accelerate
Ovvero il colpo di coda dopo la patacca. A momenti cinquant’anni i ragazzi di Athens riaccendono gli amplificatori e di fatto anche le luci sulla loro intera discografia. Chi non li aveva mai presi sul serio si affretta a salire sul carro dei vincitori e a vederli dal vivo durante l’ultimo tour della loro storia. Molti altri pentiti provenienti da ascolti apparentemente più alternativi, manco quello. Vallo a chiedere agli U2 o ai Pearl Jam di oggi un album così figo. Ma anche molti gruppetti indie dei 2000 darebbero via il posteriore per un disco così. Potevano chiudere anche qui.
Key Tracks: Sing for the Submarine; Living Well Is the Best Revenge; Accelerate
09. Document
Se è permesso muovere una critica alla critica, questo è probabilmente il capitolo più sopravvalutato della storia dei REM. Per quanto stiamo parlando di Document, a osservarlo con distacco oggi ci sembra invecchiare meno bene di altri dischi tutto sommato simili del periodo IRS, eppure più freschi, urgenti, e probabilmente meno studiati. Se non fosse per il rispetto dovuto ai pezzi principali, un paio di posizioni in questa classifica le poteva perdere senza problemi. E nonostante tutto questo, rimane pur sempre Document.
Key Tracks: It’s the End of the World as We Know It (And I Feel Fine); The One I Love; Disturbance at the Heron House
08. Monster
Ci vogliono le palle per passare dallo scenario country rock di Out of Time e Automatic al suono politically uncorrect di Monster, fatto di distorsioni grunge, riverberi e muri shoegaze. Kid A, Adore, Achtung Baby, l’omonimo dei Blur… nella storia del rock convissuta dai REM si possono contare vari casi similmente coraggiosi, ma la vicenda di Monster è forse più clamorosa, perché nessuno all’epoca si aspettava un lavoro così anti-commerciale. Soprattutto chi non aveva avuto ancora l’opportunità di indagare su chi fossero veramente i REM.
Key Tracks: Crush with Eyeliner; I Took Your Name; What’s the Frequency, Kenneth?
07. Reveal
Se vedete i REM come un gruppo rock in cui predominanti devono essere le chitarre e il timbro inconfondibile del cantante, allora faticherete ad ammettere che Reveal è uno dei momenti più alti della loro discografia. Assorbita la perdita del batterista, i REM scrivono alcune delle loro migliori canzoni e le vestono con arrangiamenti pop dal sapore nostalgico e rilassante. Non ci sono brani deboli: anche quelli very easy che finiscono in heavy rotation su MTV, anche quelli che paiono un filo troppo involuti a livello melodico, e perfino quelli dove Peter Buck neanche lo senti, alla fine contribuiscono a completare il quadro emotivo dell’album. A livello puramente metrico poi, di sicuro la prova più alta di Stipe.
Key Tracks: Imitation of Life; Summer Turns to High; Beat a Drum
06. Green
Immesso sul mercato americano il giorno delle elezioni presidenziali del 1988, Green è il primo full lenght inciso su nastro per la Warner e l’ultimo del blocco degli anni Ottanta. Proprio questo suo essere a mezza via tra i vecchi e i nuovi REM, appare come un’istantanea irripetibile in cui la trasmutazione è sia incompiuta che in fieri, con lo spirito freak e collegiale che sta per maturare in un sentimento più adulto, politico e nostalgico. Non mancano i singoli di impatto, ma sono poca cosa rispetto a quelli di Document che lo precede o di Out of Time che lo succede. Solo per questo, Green non è mai in cima alle preferenze di chi oltre le raccolte ha approfondito poco della band di Athens. In realtà è uno degli episodi più completi della discografia.
Key Tracks: Orange Crush; The Wrong Child; Pop Song 89
04. Reckoning
Quando esce il loro secondo LP, gli R.E.M. sono già delle celebrità. Reckoning prosegue con il rock collegiale e back to basics degli esordi – in tempi in cui ad andare per la maggiore è spesso il trucco, il montaggio e la destrutturazione del suono – con dieci pezzi tutti potenziali singoli in cui l’oscuro ermetismo del giovane Stipe, più poeta che gioca con il suono delle parole che compositore con una morale dietro ogni canzone come gli capiterà di diventare più avanti, è l’autentico protagonista. Arduo sin da subito lo sforzo intellettuale richiesto per trovare riferimenti diretti nel sound dei quattro, che negli anni alla IRS pubblicano dischi apparentemente simili fra loro, ma che in realtà sono uno consecutivo all’altro in termini di evoluzione, e che a fine decennio risultano pezzi di un quadro ben più grande di quello che rappresentano presi da soli.
Key Tracks: Harborcoat; Letter Never Sent; Time After Time (annelise)
04. New Adventures in Hi-Fi
Registrato durante il tour di Monster e perfezionato in studio appena dopo, il decimo long playing è l’ultimo con il batterista Bill Berry, che durante un concerto in Svizzera soffre di un aneurisma cerebrale e si vede costretto a lasciare la band, e anche l’ultimo con lo storico produttore Scott Litt. Si tratta di un vero e proprio album on the road quindi, concettualmente simile a Time Fades Away e Rust Never Sleeps di Neil Young. Nel suo essere diario di viaggio, New Adventures fotografa forse per l’ultima volta qualcosa che sta scomparendo, un modo di vivere il rock destinato ad essere sostituito da nuovi modelli di interazione e logistica.
Key Tracks: Leave; Be Mine; New Test Leper
03. Automatic for the People
Carichi del successo planetario di Out of Time, i REM riescono a non perdere la brocca e anzi, rilanciano subito con quello che formalmente rimane il loro album migliore dell’era Warner, da cui nel giro di due anni estraggono ben sei singoli, tutti accompagnati da splendidi video promozionali. La morte è il tema ricorrente nelle composizioni, che vedono uno Stipe cantare in tono preoccupato e solenne, come intento a scrivere un testamento, tanto che il cambio di look e i testi delle canzoni danno a più di qualcuno l’errata sensazione che egli sia gravemente malato. C’è poi John Paul Jones che, solito a manie di grandezza, cura gli arrangiamenti orchestrali di quattro brani, rischiando qua e là di esagerare in pomposità e quindi di snaturare lo stile della band, comunque talmente evoluta da divincolarsi con dignità anche nel nuovo status mainstream. Solo tre sono le canzoni uptempo, le altre sono tutte ballate, tra cui spiccano alcuni dei vertici assoluti degli anni Novanta tutti. Chiedere di più a un disco rock mainstream, da Automatic for the People in poi, è stato impossibile.
Key Tracks: Nightswimming; Everybody Hurts; Man on the Moon
02. Lifes Rich Pageant
L’impegno politico e ambientalista è già vivo nelle composizioni del quarto album, da cui, nonostante la possibile ampia scelta, vengono estratti solo due singoli. Eppure si tratta di una collezione di pezzi stratosferici, che abbracciano e anticipano tutti gli stili possibili dei REM, almeno fino a quando restano con la formazione originale a quattro. Peccato che all’epoca non siano riusciti a formalizzare una buona versione di “Bad Day”, risalente a questo periodo, altrimenti Lifes Rich Pageant sarebbe potuto risultare il loro miglior disco. Proprio nelle mancanze in fase di produzione, che forse gli hanno impedito di sfondare, risiede il fascino irregolare di Lifes Rich Pageant.
Key Tracks: I Believe; Cuyahoga; Fall On Me
01. Murmur
Oggi fa quasi tenerezza, ispirato da quello spirito collegiale, in realtà non così ingenuo. Risulta innocuo, a tratti naïf. Eppure Murmur ha cambiato il rock con le sue tenere armi, e si può asserire tutto ciò che si vuole, ma le dodici canzoni che lo compongono hanno uno spirito più puro di qualsiasi loro altra composizione. Capire i REM degli anni IRS significa aver coscienza dei movimenti del rock dei successivi due lustri. Hanno inevitabilmente perso, a poco a poco, quell’essenzialità, in favore di altre doti come la tecnica e l’esperienza. Altri sentimenti. Ma un debutto come Murmur, nella storia del rock, è forse secondo solo a Velvet Underground & Nico.
Key Tracks: Radio Free Europe; Sitting Still; Pilgrimage