24 Marzo 2017
Non è mai facile parlare di un nuovo disco dei Depeche Mode. Quanti sono rimasti male quando non abbiamo risparmiato pernacchie alla melassa nera dei capitoli che vanno da Exciter compreso a Delta Machine, e quanti qualsiasi cosa puoi scrivere, ormai passano oltre perché convinti che se proprio debbono ascoltarli, lo fanno solo per piccole dosi del vecchio e irripetibile catalogo. Quindi non ci illudiamo di riuscire a solleticare il fan radicale che è già sotto al palco delle arene italiane che ospiteranno i loro concerti, o chi ormai s’è dato a cose ben più alternative e presumibilmente sincere, con la recensione del nuovo Spirit, appena arrivato nei negozi. È vero tuttavia che il titolo e l’impasto di colori in copertina ci hanno fatto temere il peggio, o un semplice proseguo della lagna digital soul che ha preso il sopravvento nel dopo Ultra (invero, l’ultimo disco del trio che è bene avere in discoteca). E anche al primo ascolto, una porcheria come “Where’s the Revolution” piazzata tra i primi brani della scaletta, di certo non ha aiutato ad arrivare in fondo con serenità.
Eppure andando avanti scopri che pur mancando del tutto possibili singoli da best of della terza fase della loro carriera (la più lunga ormai), qualche rischio per suoni e trovate differenti Gore e soci lo hanno preso. Se la voce di Gahan non si trova a interpretare melodie memorabili, ma risulta ancora viva e inconfondibile, la pasta sonora avanza e spazia spesso in direzioni techno pop che ormai non davamo più per percorribili. Lavorano bene in questo senso le tracce “You Move” (in cui si arriva perfino a pensare ai Nine Inch Nails) e “Cover Me”, con la sua coda tutta beat digitali che fa tanto videogioco arcade anni ’80 e quindi moda corrente (sempre in mente la colonna sonora di Stranger Things). Anni Ottanta che tornano alla grande anche in “So Much Love”, così in bilico fra i New Order e gli U2, e in generale in tutta la seconda metà del disco. Il pezzo migliore di questo lato è probabilmente “No More (This Is the Last Time)”, che già immaginiamo accompagnato da un video promozionale di quelli che una volta sarebbero andati in rotazione per tutta l’estate sui canali musicali, e che offre una summa delle soluzioni stilistiche abbracciate in Spirit.
Non si avvicina minimamente ai migliori episodi, ormai davvero troppo lontani, della band – che poi tanto band non è più da anni visto che ormai Gahan vive a New York, Gore a Los Angeles e Fletcher a Londra – e come detto non aggiunge highlight importanti alla discografia, ma Spirit offre una visione di suono molto calibrata e, incredibile, di tendenza, mollando a poco a poco la matrice soul che ammorbava come poche cose al mondo, e gettandosi nella corrente arcade che negli ultimi mesi tra synth tascabili e produzioni indie, ha avuto il suo momentum. Let’s have an arcade celebration, tonight…