Cloud Nothings – Life Without Sound

Cloud Nothings – Life Without Sound

Parliamoci chiaro: dire che quella appena trascorsa sia stata una annata di magra per il rock sarebbe un clamoroso understatement. I più affamati avranno sicuramente scorso le liste degli album in uscita nel 2017, e non avranno mancato di annotare un gruzzoletto di nomi interessanti su cui fare affidamento. Difficile non includere tra questi i Cloud Nothings, che con Attack on Memory prima e Here and Nowhere Else poi hanno portato una ventata di aria fresca nella scena e si sono guadagnati prepotentemente i loro posti nelle classifiche di fine anno. Il frontman Dylan Baldi ha avuto modo di fare tesoro delle esperienze con gente del calibro di John Congleton e Steve Albini, ed è ormai un musicista affermato.

Tuttavia, bastano pochi minuti di Life Without Sound per capire che il livello di ispirazione del songwriting è notevolmente calato: nove tracce imballate, che fanno fatica ad evolvere al di fuori di certi schemi scadendo facilmente nella ripetitività. Sebbene il sound sia ormai perfettamente curato e riconoscibile, sono quasi totalmente assenti le sferzate che Baldi sapeva assestare in continuazione nei passati lavori, spesso anche nel corso dello stesso pezzo, senza dare un attimo di tregua. La riproposizione continua del cantato pop punk sembra figlia di una ricerca del ritornello accattivante a tutti i costi, mentre in passato veniva giudiziosamente confinato nei momenti adatti con ben altro successo (leggasi “Fall In”).  Dopo la noiosa “Enter Entirely”, tautologica sin dal titolo, arriva “Modern Act” a riaccendere le speranze, unica hit possibile dell’album. Ma il colpo di coda finale non basta a riscattare Baldi e compagni, con “Strange Year” e “Realize My Fate” che sembrano quasi b-sides di Here and Nowhere Else e Attack on Memory rispettivamente.

[Tweet “In sostanza, con questa uscita dei #CloudNothings Baldi ha fatto possesso palla”]

Il risultato finale è un lavoro privo di una direzione ben precisa, nonostante l’esperienza trasversale del produttore John Goodmanson (Death Cab for Cutie, Unwound) che avrebbe certamente autorizzato a sperare in qualcosa di più concreto. Mentre i precedenti album si lasciavano ascoltare per intero con una facilità disarmante, in questo caso ci aspettiamo di andare a riprendere una “Modern Act” o una “Sight Unseen” ogni tanto. In sostanza, con questa uscita Baldi ha fatto possesso palla, limitandosi a riutilizzare soluzioni che sicuramente padroneggia ma senza voler rischiare nulla.