Abbiamo fatto un disco, si chiama In Rainbows

Dieci anni fa usciva In Rainbows, un disco che cambiò il modo di concepire le uscite discografiche, sia da parte degli artisti che del pubblico. Prima di allora nessuno aveva pensato a mettere online un download “paga quanto vuoi”, per poi venderlo in formato fisico in edizioni limitate da 57€, apparentemente senza una versione cd più accessibile dalla maggior parte dei fan, ma facendo capire che sarebbe stato autoprodotto e distribuito totalmente dalla band. Non si sapeva se in un futuro si sarebbe poi trovato nei negozi. In pratica suonava come una specie di sfida al mercato: vuoi il disco in formato digitale? Scaricatelo, e paga quanto vuoi. Se lo vuoi fisicamente, queste sono le nostre condizioni.
Ricordo bene quelle settimane: vivevo a Roma, iniziavo il mio dottorato di ricerca e la comunità online del forum 3rd Eye dedicato ai Tool (che in realtà spaziava in ogni ambito con tutto il contorno che si sviluppò negli anni a venire) era in letterale fermento.
Gli annunci misteriosi sul blog Deadairspace si intrecciavano con le indiscrezioni, ed eravamo tutti affannati a decifrare e far quadrare i pezzi. Poi il primo di ottobre arrivò l’annuncio ufficiale di Jonny Greenwood: “Abbiamo fatto un disco, si chiama In Rainbows, esce fra 10 giorni.” Incredibile all’epoca, e a tutt’oggi rimane un caso discografico, per la modalità di rilascio e distribuzione. Ma la domanda vera fu “Ne varrà la pena o sarà tutto fumo e niente arrosto?”. Qualcuno azzardava il paragone con Year Zero dei Nine Inch Nails, altri con Stadium Arcadium dei Red Hot Chilli Peppers. A pensarci oggi c’è da sbellicarsi dalle risate, ma allora non potevamo saperlo. Si parlava di un doppio, perché c’era un secondo cd, che di fatto si dimostreranno b-sides vere e col senno di poi non possono minimamente avvicinare la qualità di alcuni pezzi del disco “vero”, che entrano di diritto nella storia della vasta discografia della band. I Radiohead venivano da quattro anni di silenzio post Hail to the Thief, il disco più controverso qualitativamente fino ad allora, certamente un disco di passaggio dopo il duo Kid A/Amnesiac, dove erano tornate le chitarre con risultati altalenanti per un disco che forse oggettivamente conteneva qualche traccia di troppo (che però, soggettivamente, per me rimane denso di grandi pezzi). E in parecchi li davano per ormai finiti, e il rischio di un disco non all’altezza era concreto.
In quei dieci giorni nacquero discorsi infiniti, voli pindarici e commenti infiniti sul sesso degli angeli e su questioni di lana caprina, si dibatteva ogni cosa disputando delle aspettative per il nuovo e sulla qualità dei singoli dischi e canzoni. Si conosceva la tracklist, i fan riconobbero molti pezzi già conosciuti, e si temeva un disco mediocre, perché non sembravano poter essere tutte grandi canzoni, quelle conosciute.
E poi arrivò la benedetta mail, con il download mp3 a 160kbs che fu, anche questo, motivo di disputa. Tropo poco! Ma mica sono scemi! Se si sente troppo bene, chi lo compra poi fisicamente?!
E invece… Dopo i primi ascolti, si tornò a parlare della musica, delle canzoni, che c’erano! Eccome se c’erano! Dieci pezzi che dieci anni dopo fanno pensare a 42 minuti di grande musica, senza interludi e riempitivi, che scorrono ancora oggi freschissimi. C’era tutto dentro, la drum machine, le chitarre distorte e gli arpeggi, le ritmiche jazzate e intrecciate, gli arrangiamenti magistrali, la voce cristallina e i testi profondi e misteriosi. Piano piano vennero fuori le influenze di Robert Wyatt e la raffinatezza di certi pezzi, magari dapprima sottovalutati, (House of Cards, emblematica), l’eleganza, la complessità e il coinvolgimento emotivo di cui è pieno questo disco cupo, ma non pessimista.
Dopo qualche settimana qualcuno azzardò “Forse è il mio preferito”, e all’epoca sembrava eresia e prematuro. Era presto per scalzare un disco chiave della storia della musica rock come OK Computer, o Kid A per altri versi. Ma oggi non è poi così strano, a pensarci bene, e qualcuno può averci davvero trovato il proprio disco dei Radiohead.
A bocce ferme, si scoprì che la ragione di un progetto così azzardato valse anche sulla distribuzione, visto che si stimarono solo un anno dopo oltre tre milioni di copie in download. La maggior parte furono scaricate for free, ma i 100.000 discbox limited editon e le 1.75 milioni di copie fisiche vendute resero il disco un grande successo, anche dal punto di vista economico, soprattutto quando si trattò di giocare con le major per vendere i diritti di distribuzione del cd.