Lo scorso anno di questi tempi auspicavamo che gli artisti in quarantena ritrovassero nel 2021 le motivazioni per tornare a comporre musica profonda e di nuova ispirazione, dopo alcuni anni in cui solo i concerti e i passaggi su Spotify sembravano importare, se non altro per continuare a campare con un certo agio, o per tenere in piedi la baracca se preferite.
Non così tanti hanno risposto presente in questi dodici mesi, e sicuramente pochi nuovi artisti hanno avuto l’opportunità di emergere: incidere musica non paga più, a meno che non azzecchi il pezzo che finisce in una pubblicità, o lo fai sperando che qualche produzione cinematografica possa poi acquistare il tuo materiale. Altrimenti tanti auguri.
Certo che se si continua così a lungo, si tornerà sul serio ad ascoltare musica a casa, da impianto hi-fi. E la cosa non può che farci molto piacere.
Se la 2020 è stata un’annata di transizione, con il rock ancora in stato comatoso e solo una manciata di album di musica black ed electro a meritare gli applausi, la 2021 si è mostrata sin dalle prime settimane di tutt’altra pasta, e su ogni fronte.
Nel corso di questo anno solare abbiamo avuto i dischi di nomi importanti dell’indie e del post rock anni ’90 e ’00 come Low e Godspeed You! Black Emperor, e diverse giovani band si sono confermate con lavori che forse non cambieranno la storia del rock, ma di certo lo mostrano nuovamente in salute. Inutile nominarli, li trovate in classifica e nella playlist che abbiamo compilato per voi.
Tra le uscite più interessanti ci sono sicuramente quelle che costeggiano il pop partendo da altre conoscenze e convinzioni. Pensiamo agli album di Tirzah, Little Simz e ovviamente di Arca, che tuttavia abbiamo preferito tenere fuori dalla chart, vista la natura scomposta delle sue recenti pubblicazioni.
E’ andata benone anche l’elettronica, che ci ha messo in difficoltà fino all’ultimo in fase di valutazioni finali, e che per qualcuno di noi è relegata troppo in basso (Skee Mask e Joy Orbison in particolare) in questa chart.
Sono dodici anni che facciamo classifiche di fine anno (e qualcuno in più se si contano i forum dove oziavamo in precedenza), e forse per la prima volta le prime 5-10 posizioni rispecchiano i punteggi delle recensioni pubblicate durante l’anno.
Siete d’accordo che il disco dei Black Country, New Road sia il migliore dell’anno, e che ad un’unghia di distanza ci sono quelli dei Sons of Kemet e degli Injury Reserve? Forse no, e non ne siamo convintissimi neanche noi, ma al momento della chiusura delle discussioni, questa logica ci sembrava quella più sensata. Magari ci siamo persi un bel po’ di uscite che potevano essere prese in considerazione anche per le primissime posizioni. Fatto sta che siamo altresì certi della qualità mediamente molto alta delle prime dieci-dodici posizioni di questa chart.
Come sempre, per approfondire la discussione e proporre qualcosa che non vedete in classifica, vi rimandiamo al forum di DYR.
Che sia un 2022 di rinascita e spensieratezza per tutti. Ce lo meritiamo, quasi tutti.
30. THE WORLD IS A BEAUTIFUL PLACE & I AM NO LONGER AFRAID TO DIE – ILLUSORY WALLS
Coi suoi 70 minuti, Illusory Walls è il disco più lungo dell’intera discografia della band del Connecticut, e sicuramente il più importante dal punto di vista tecnico. Un albo in cui la voglia sperimentare tra diverse sonorità riesce ad allungare la vita di una formazione che altrimenti già con Harmlessness poteva dire di aver completato il suo percorso.
La quarta fatica del progetto The Armed è ULTRAPOP che, spaziando dal post hardcore al noise, amalgama al meglio queste componenti riuscendo a renderle melodicamente commestibili. Ma è il suo intento pop il vero punto di forza del disco e il motivo per il quale siamo più propensi ad accogliere una proposta simile rispetto alle solite rivisitazioni di un genere che altrimenti sembra aver esaurito le cartucce. Essere riusciti a coinvolgere Mark Lanegan non fa che aumentare la stima per questo combo di Detroit.
28. JPEGMAFIA – LP!
Fin dagli esordi abbiamo avuto la netta impressione di trovarci di fronte ad un artista capace di scuotere il mondo hip hop dalle fondamenta, capace di assemblare vari aspetti della musica black contemporanea in maniera originale e con un’estetica assolutamente inconfondibile. Con questo “LP!”, progetto di rara consistenza, l’uso dei samples da parte di Peggy raggiunge la perfezione formale ed addirittura un metodo quasi scientifico all’interno della sua follia. Particolarmente consigliata la versione offline, nella quale troviamo “HAZARD DUTY PAY!”, che potrebbe anche essere il suo apice.
27. PARANNOUL – TO SEE THE NEXT PART OF THE FILM
Negli anni si è spesso cercato di donare nuovo lustro a quell’oceano di distorsioni chiamato shoegaze. Uno dei tentativi più riusciti del recente periodo è ascrivibile al progetto coreano Parannoul, di cui si hanno poche notizie. L’ora di musica qui espressa non contiene fasi eccessivamente derivative e lascia passare quasi inosservato l’ipotetico limite dettato dalla barriera linguistica. Urge approfittare del clima invernale per lasciarsi entusiasmare al meglio dai muri di suono di tracce come “White Ceiling”.
I nuovi brani nascono dal desiderio del gruppo di ottenere un sound più vario e imprevedibile rispetto l’esordio. Le armonie vengono arricchite a dismisura (stando a quanto dichiarato avrebbero utilizzato più di cento strumenti differenti). Il contributo del nuovo produttore si sente ed evidenzia una svolta nel sound (mai così prog, jazz, ma a conti fatti indescrivibile) che difficilmente sarà replicabile in sede live. Per ovviare alla situazione dal vivo, l’ormai trio, viene ultimamente ampliato con un organico comprendente una sezione di fiati e synth.
25. SPIRIT OF THE BEEHIVE – ENTERTAINMENT, DEATH
Ricombinare linguaggi differenti e rischiare: solo in questo modo, forse, il rock potrà contare ancora qualcosa in un mondo così fluido e spezzettato. Il nuovo album del combo di Philadelphia prova a piantare la bandierina su un territorio ancora da colonizzare, al confine tra psichedelia, indie rock e pop ipnagogico, e lo fa con un pugno di canzoni deliranti che sembrano rinascere in continuazione. La materia sonora non è di facile assimilazione, e a primo impatto si rischia di rimanere spiazzati, ma a poco a poco ci si accorge di come questo disco sia un autentico grower, oltre che un potenziale cult per le generazioni future.
24. LORAINE JAMES – REFLECTION
Il nuovo della James conferma l’eclettismo della giovane producer, che non ha paura di inserire nella sua musica le influenze più disparate. Ne esce fuori quella che potremmo definire un’IDM moderna, che oltre all’UK bass incorpora al suo interno tracce di drill e batterie 808 quasi trap: una formula senza dubbio innovativa, e potenzialmente esaltante. Potenzialmente, appunto. Perché la sensazione è che in alcuni momenti questo esperimento non sia ancora del tutto maturo, a discapito della sostanza complessiva.
23. DAMON ALBARN – THE NEARER THE FOUNTAIN, MORE PURE THE STREAM FLOWS
Nonostante la camera con vista sul mare e i ghiacci d’Islanda, il nuovo di Damon suona nuovamente londinese, anche per via della strumentazione utilizzata: harmonium, farsifa, organetti di varia caratura, wurlitzer e archetti impostano il suono su atmosfere meno digitali che in Everyday Robots e più calde, come quelle di un cantautorato che dal rock si è spostato su coordinate pop da camera, ingentilite da tocchi di soft jazz – essenziale il contributo di Mike Smith in questo senso – e solo raramente invigorite da riverberi e graffietti di chitarra elettrica.
22. CONVERGE & CHELSEA WOLFE – BLOODMOON: I
Un’ora di gran bella musica per noi che crediamo in un post hardcore e post metal capace di evolversi ed ibridarsi restando vivo, anche se certo non adatta a tutte le stagioni. Ci ha ricordato la bella collaborazione tra Thou e Emma Ruth Rundle dell’anno scorso, anche se qui c’è inevitabilmente molta più carne al fuoco: ci sono i Converge con la proverbiale produzione di Kurt Ballou a ricavare il sound desiderato. C’è ovviamente tanta Chelsea Wolfe, con il fido collaboratore Ben Chisholm, e c’è il caro vecchio Stephen Brodsky dei Cave In, per una collaborazione che speriamo offra anche un secondo capitolo.
21. SPACE AFRIKA – HONEST LABOUR
Un marasma emozionale che colpisce l’ascoltatore in modo inaspettato, avvolgendolo e cogliendolo di sorpresa, per poi abbandonarlo e riaccoglierlo tra le sue braccia solo qualche minuto più tardi. Una sorta di sogno iperrealista, carichissimo di suoni, visioni e tecniche apparentemente appena abbozzate, da cui forse si rischia di uscire con le idee un po’ confuse. A quel punto l’unica cosa che dovrete sapere è che in ambito electro nel 2021 non sono usciti molti dischi migliori di Honest Labour.
La capacità di Romeo di sapersi silenziosamente inserire nella categoria di LP in grado di spaziare con successo dal tradizionale formato canzone a strutture meno prevedibili è una rarità assoluta, specie se si considera il calderone di generi coinvolti. Salvador Navarrete ha dimostrato di avere le carte in regola per digitalizzare le insicurezze del nuovo millennio e, sebbene con tutta probabilità a questo giro non abbia composto un capolavoro, sapere di trovarsi davanti a chi sarà in grado di realizzarne uno in futuro è per noi una sensazione rassicurante.
19. JON HOPKINS – MUSIC FOR PSYCHEDELIC THERAPY
Olistico, ayurvedico, ambientale curativo: il nuovo LP del compositore britannico è una sorpresa psichedelica per i suoi fan. Music for Psychedelic Therapy va preso nel suo intero, e solo mettendone assieme i vari momenti se ne ottiene un messaggio da interiorizzare in grado di elevarti oltre. Musica che se ti entra in circolo riesce a consolarti e a coinvolgerti proattivamente come poca musica ambient e new age sa fare. E vi riesce in modo naturale, come svolgendo un esercizio interiore a cui il compositore britannico dev’essere da tempo abituato, e che lo ha portato a vivere esperienze che oggi vuole condividere, almeno nel tentativo di ricordarle per se stesso e riviverle.
18. PERILA – HOW MUCH TIME IT IS BETWEEN YOU AND ME?
Tra le pieghe delle tracce di questo lavoro della producer russa Aleksandra Zakharenko, integrate da brevi interventi vocali e field recordings, cova una tensione sotterranea che provoca sensazioni contrastanti. Registrato in un villaggio in montagna, sembra restituire perfettamente l’esperienza di un isolamento in mezzo ai boschi, con un continuo contrasto tra momenti vicini al panismo e quella sensazione di pericolo nascosto all’inizio quasi impercettibile poi sempre più marcata.
Il nostro invito è a dedicargli tempo, nient’altro. Perché non sappiamo quanto e come, ma questo disco ha un posto nella storia del rock italiano. Bisogna mettersi lì, magari da soli, con delle belle casse o delle buone cuffie e ascoltare, ascoltare e ascoltare. E allora vengono fuori tante cose… Tuttavia noi Italiani siamo così, come per il calciatore o il giocatore di basket, anche per la musica se non è straniero magari gli diamo meno peso. IRA però è un lavoro che merita grande rispetto.
16. PANOPTICON – …AND AGAIN INTO LIGHT
Il progetto Panopticon, dietro cui si cela l’americano Austin L. Lunn, si è rivelato negli anni un’esperienza fondamentale del moderno black metal, qui declinato in una chiave assolutamente non convenzionale integrando elementi che vadano a ripescare la più pura tradizionale musicale americana. All’interno della sua discografia gli episodi da riscoprire sono diversi, ma l’impressione è questo album possa veramente rappresentare il suo apice. Non fatevi spaventare dalla lunghezza media delle canzoni, perché scorrono molto più facilmente del previsto, continuamente in bilico tra momenti di assoluta quiete ed esplosioni improvvise e laceranti.
15. SQUID – BRIGHT GREEN FIELD
Quello che ci aveva sempre colpito della band in questione era la capacità di suonare un post-punk incredibilmente groovy e catchy eppure estremamente elaborato, nel quale tutte le influenze venivano rielaborate con inventiva e personalità. Nel loro background ci sono Wire, Talking Heads, Gang of Four, ma fa capolino anche una certa verve elettronica, che si può risolvere in episodi più danzerecci o facendo avvolgere i pezzi in una coltre ambientale. Assieme a Black Country, New Road e black midi, gli Squid sono un’altra conferma della vitalità della nuova scena rock britannica.
14. MASTODON – HUSHED AND GRIM
I Mastodon tornano finalmente alla ribalta dopo una serie di episodi che hanno diviso pubblico e critica. Dischi che avevano allontanato i fan storici, ormai cresciuti-annoiati, e convinti che il combo di Atlanta non fosse più in grado di produrre musica come ai vecchi tempi. Hushed and Grim si presenta subito come il successore spirituale di Blood Mountain. I pezzi tornano finalmente ricchi di dettagli e sfumature, e durante i primi ascolti si viene spesso colti di sorpresa, tanto complessa risulta la memorizzazione dei vari passaggi. Gli arrangiamenti colpiscono anche per gli inserti dei vari ospiti, mai così variegati e affascinanti come sulla seconda metà di questo doppio LP.
13. SKEE MASK – POOL
Sarebbe ingiusto definirlo ancora un semplice revivalismo IDM. Il producer tedesco Bryan Müller è senza dubbio la punta di diamante della Ilian Tape, soprattutto grazie al precedente Compro, la cui più grande qualità era la grande organicità e compattezza. Non si può dire lo stesso di questo nuovo album, che nelle sue diciotto tracce esplora diverse sonorità, in una maniera che potremmo definire totalmente anarchica. Pool sa avvolgere e colpire, alternando episodi più duri ad altri più distesi ed atmosferici, con una fantasia sorprendente che testimonia la caratura dell’artista.
Le etichette applicabili al lavoro svolto da Tirzah Mastin non sono mai mancate, anche se tutte sembravano riassumibili sotto il dominio di alternative R&B. L’indicativo imperfetto sta qui ad indicare un’evidente volontà di evasione da certi canoni, messa in atto con il nuovo Colourgrade, la cui staticità è stata palesata alla più recente edizione del C2C. Se questo è il pop introspettivo del presente, allora potete contarci tra i fan più convinti.
La band guidata da Brendan Yates ci ha costretti a uno dei rating più alti per un disco rock da un bel po’ di tempo a questa parte. E’ davvero carico lui, che urla esagitato come Zack De La Rocha prima che finisse ospite fisso a Chi L’ha Visto?, e melodico come forse solo nell’emo più periferico e al massimo nei Japandroids abbiamo riscontrato su queste coordinate, dai primi Brand New in poi. La verità è che una produzione così mainstream e calibrata, ai tempi, diciamo primi anni Novanta, a un disco come Glow On avrebbe garantito un milione di copie vendute a occhi chiusi.
10. JOY ORBISON – STILL SLIPPING VOL. 1
Il debutto sulla lunga distanza di Peter O’Grady coincide con un rinnovato apprezzamento delle dinamiche UK bass che tanto avevano segnato l’alba dello scorso decennio. Still Slipping, Vol. 1 è un mixtape la cui ossatura è però riconducibile al formato LP, e in un’epoca in cui si tende a decostruire le strutture tradizionali, godere di un prodotto capace di adeguare al panorama contemporaneo delle frequenze così care alla nostra testata è quanto di meglio si potesse chiedere ad un’uscita targata Joy O.
Icons offre un reticolo di concetti musicali che spaziano dal cinema noir in bianco e nero – in alcuni passaggi abbiamo ripensato a Delìrium Còrdia dei Fantômas – passando (sotto) a scale musicali antiche battendo percussioni futuriste. Il tutto rimanendo entro un sound astratto, introspettivo e iper-reale, che appunto non puoi più definire semplicemente experimental percussionism. Eli Keszler comunica le sue nuove tecniche con un fare che funzionerebbe per il grande schermo, e che, soprattutto, lo rendono sempre più un polistrumentista elettroacustico a tutto tondo.
08. KORELESS – AGOR
Dietro una attesa di cinque anni, risiede una buona dose di rischio, poiché nessun panorama quanto quello elettronico è soggetto ad istantaneo invecchiamento del sound, specchio dell’odierna realtà ipervelocizzata in cui siamo immersi. Il merito del producer è stato l’essere riuscito a mantenere vigile una fedele cerchia di appassionati, preparando pian piano il terreno per il debutto tramite pochi singoli ben dilazionati nel corso del decennio. Agor è una raccolta di brani che spaziano da uno stile all’altro con sapienza, riuscendo a plasmare più ambiti musicali senza mai risultare fuori tempo massimo.
07. FLOATING POINTS, PHAROAH SANDERS & THE LONDON SYMPHONY ORCHESTRA – PROMISES
Promises è il compimento di un ambizioso progetto avviato alcuni anni fa da Sam Shepherd, in arte Floating Points, che ha scritto e ha arrangiato questo disco e che ha fortemente voluto la collaborazione con Pharoah Sanders, vera e propria leggenda del jazz. Se Floating Points è la mente dietro a questo progetto, Sanders è il vero valore aggiunto e proietta l’album in una dimensione sensoriale che trascende il tempo e lo spazio. È musica spirituale, che gioca con i silenzi, con le pause, e il sax fa capolino qui e là con poche ma efficaci note di rara bellezza e ispirazione, regalando fugaci fotografie di paesaggi notturni e solitari.
06. LITTLE SIMZ – SOMETIMES I MIGHT BE INTROVERT
Sometimes I Might Be Introvert conferma tutte le impressioni positive che avevamo avuto due anni fa all’uscita di Grey Area, e se possibile le rafforza inserendo nuove sfaccettature. Difficile trovare un disco hip hop così completo a livello di temi e sonorità, in cui la rapper britannica di origine nigeriana si mette a nudo concentrandosi sulla dicotomia tra il suo lato più introverso e privato e la sua personalità di rapper funambolica.
05. GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR – G_D’S PEE AT STATE’S END!
Solo un ascolto, e G_d’s Pee AT STATE’S END! sembra già suonare come una sveglia. Solo due ascolti, e sei consapevole che anche stavolta hanno pubblicato un tomo che non sfigura affatto rispetto ai loro primi storici album. Prosegui col terzo e il quarto, e sei sicuro che si tratti di un’opera che racconta il drammatico anno che abbiamo vissuto, in grado di comunicare verità più di tante altre fonti di informazione. Il settimo LP dei Godspeed You! Black Emperor – è chiaro proseguendo con gli ascolti – è una delle migliori pubblicazioni post rock di tutti i tempi.
04. LOW – HEY WHAT
È un rock quasi fuori dal tempo e dallo spazio, e nell’epoca in cui i revival esercitano ancora un certo peso sull’ascoltatore, una soluzione del genere rende ancor più autorevole la voce di chi la propone. I LOW proseguono il cammino iniziato con Double Negative, fanno tesoro della sperimentazione lì adottata e abbracciano il formato canzone senza perdere un briciolo di quell’unicità che aveva contraddistinto il predecessore, continuando a destrutturare le caratteristiche dell’albo tradizionale.
03. INJURY RESERVE – BY THE TIME I GET TO PHOENIX
Le asimmetrie che caratterizzano i brani non sono mai sinonimo di ricercatezza fine a se stessa, anzi, contribuiscono a delineare l’ambiente surreale in cui ci si ritrova immersi e donano al collettivo una base avanguardistica precisa sui cui lavorare, al momento ineguagliabile per la sua capacità di inglobare generi tra loro distanti anni luce senza perdere un briciolo di integrità artistica. Perché passare dal campionare astri nascenti della scena UK come Black Country, New Road e Black Midi al saper rendere un egregio omaggio a Brian Eno dimostra grande confidenza nel proprio ingegno e nella sperimentazione in ambiente hip hop.
02. SONS OF KEMET – BLACK TO THE FUTURE
Black to the Future è un concept album sorto dalle ceneri delle proteste del movimento Black Lives Matter dello scorso anno. La strumentazione dei Sons of Kemet, composta da soli ottoni e percussioni, e anche il fatto che pubblichino per Impulse! lasciano pensare che questo sia un disco jazz al 100%. In realtà, il loro sound affonda le sue radici nell’afrobeat, nel hip-hop e nel dub e ci sono pezzi che non sfigurerebbero nei migliori dance club londinesi, grazie a delle bassline veramente killer. Questa è la vera forza di Hutchings, capace nelle composizioni di coniugare la tradizione jazz, con elementi innovativi, arrivando a forgiare un suono fresco e originale, che potrà piacere a tipologie di ascoltatori molto eterogenee.
01. BLACK COUNTRY, NEW ROAD – FOR THE FIRST TIME
La vetta della classifica DYR 2022 va alla realtà più fresca e allo stesso tempo consapevole emersa dalla nuova scena UK, che si ispira tanto al post punk quanto al post rock, soprattutto quello appartenente alla versione primigenia degli Slint. Dalla coesione delle tracce alla moltitudine di idee proposte, il castello messo in piedi dai britannici non mostra segni di cedimento. For the First Time restituisce ottimismo verso il genere e fiducia nei confronti di nuove leve intenzionate a scrollarsi di dosso l’etichetta del mero revivalismo.
Menzione Speciale. A metterci in seria difficoltà durante la compilazione della classifica ci si è messa anche Arca, che tra fine novembre ed inizio dicembre ha deciso di pubblicare i capitoli 2-5 della sua serie “kick”. Abbiamo discusso a lungo su come comportarci di fronte ad un progetto così imponente: si è pensato di inserirli tutti quanti insieme in una posizione intorno alla top ten, oppure di includere il migliore dei quattro (il volume iii), ma alla fine abbiamo deciso di trattare l’intero lavoro a parte, per analizzarlo nel dettaglio come merita cercando di comprenderne la reale portata.
TOP 30 a cura di Giovanni Filippeddu, Giuseppe Rotundo, Manuel Boninsegna, Pierluigi Ruffolo, Daniele Sassi, Marco Adriani.
In copertina, Franco Battiato nel 1974.