PepperMagik wrote:
Personalmente, sono gli unici che non conoscevo... Certo, a leggere le definizioni di RYM, dove si parla di "comedy rock" e "Satire", un po' di sudori freddi preventivi mi vengono... Si ascolteranno comunque.
Beh sui Tubes ho postato il loro brano simbolo... Comunque è glam, sicuramente parodistico e "da musical", ma... sorpresa! Il suono punk non è lontano, e un tocco di elettronica pesante li rende persino "spaziali".
Mi autoquoto da RYM:
"Il 1975 è un anno particolare per la storia della musica: i mostri sacri del prog sono praticamente estinti, quelli del glam sono in fase decisamente calante (pur con i Queen in ascesa "commerciale"), persino il kraut-rock aveva già concesso alla storia il suo periodo d'oro. Per contro, il punk sarebbe nato solo l'anno successivo, mentre la new wave era ancora ai primi vagiti.
In questo momento particolare (esattamente a gennaio 1975), esordiscono i Tubes, band capace di trasportare la teatralità del Glam oltreoceano, portando al parossismo i precedenti tentativi di Todd Rundgren, Sparks e New York Dolls.
Gruppo-parodia per eccellenza, i Tubes propongono musica che sembra fatta apposta per un musical o per una rappresentazione teatrale: il disco unisce così vari stili musicali (dall’operetta al funk, dall’hard-rock al pop) per creare un sound di una grandeur Rossiniana, con arrangiamenti corposi che non lesinano crescendo orchestrali, fiati a rotta di collo, cori lirici, elettronica, cambi di tempo e gag grottesche. Il metodo scientifico di sovrapproduzione artificiosa, a opera di Al Kooper, ricorda quello di band come Moody Blues, Sparks, Queen e 10cc.
L’apripista “Up From The Deep” è esemplare di questo procedimento, visto il profluvio di effetti orchestrali, magmi elettronici e cambi d’atmosfera presenti al suo interno (che si ripercuotono persino su un pezzo come “Haloes”, sorta di power-pop lirico, scombussolato da mozzafiato crescendo strumentali)
La band dà libero sfogo alla propria creatività da melodramma: partendo dalla cover latineggiante di "Malaguena Salerosa", passando per l'epico rock'n roll stordito di "Mondo Bondage", e finendo con la schizoide "Space Baby" (un susseguirsi di fantasie melodiche, arie operistiche, fiati da musical e cori lirici), si finiesce così a braccetto con Ziggy Stardust per le strade di Broadway.
"What Do You Want From Life?", in un tripudio di cori, chitarre funk e gag sonore, stende un ponte tra Zappa, Sly & Family Stone e Jesus Christ Superstar con una naturalezza sovraumana, risultando, al tempo stesso, il pezzo più audace e orecchiabile del disco.
Capolavoro nel capolavoro è però la conclusiva "White Punks On Dope" (quasi sette minuti), brano nel quale si sublima il dna dei Tubes: chitarre hard-rock (sporche e sguiate), elettronica scorbutica (al limite con gli esperimenti coevi di band tedesche), testo sardonico (quasi in anticipo al movimento punk), cambi di tempo (come nella migliore tradizione progressivi)e cori lirici (in anticipo su "Bohemian Rhapsody"), il tutto amalgamato dalla solita produzione robusta, in una specie di minestrone dell'eccesso. Sono sette minuti incredibili, tra i più geniali che le mie orecchie abbiano potuto sentire.
Disco che ha segnato un’epoca di barocchismi che sarebbe stata spazzata via dal ciclone punk, “The Tubes” ha saputo mantenersi ben al di sotto della soglia del cattivo gusto, fungendo da ponte tra generi apparentemente incociliabili come
il glam più pomposo (quasi "progressive") e il sopraccitato punk."