Electro Report 2023, pt. I

L’elettronica ha vissuto negli anni Dieci uno dei suoi periodi di massimo splendore, dando vita a un’enorme quantità di scene e avanguardie capaci di plasmare ancora oggi sound che vanno ben al di là della loro sfera di competenza. La flessione iniziata poco prima della pandemia non sembrava prossima a scomparire, eppure questo primo scorcio d’annata offre una proposta piuttosto variegata che, seppur di livello ancora non eccelso, porta con sé un po’ di ottimismo verso il genere e i suoi immediati sviluppi.

Andrea - Due In Colour

Andrea – Due In Colour. Negli ultimi anni la Ilian Tape ha saputo imporsi con una ricetta tanto semplice quanto efficace: un’ibridazione in chiave breakbeat dell’IDM dei Novanta. Nel suo secondo lavoro per la label tedesca, Andrea prova a personalizzare maggiormente la proposta rispetto al già interessante esordio. Il producer torinese intercetta stimoli provenienti da jungle, techno e drum’n’bass, ma le sue reali ambizioni affiorano maggiormente nella seconda metà della release, dove le texture ambientali prendono il sopravvento e il suo caratteristico uso delle percussioni si colora di una sfumatura jazzy. Nel cercare di capire il reale valore del progetto, bisogna dire che alcuni dei pezzi più riusciti sono forse quelli più conservativi, mentre pur regalando momenti di altissima intensità la strada verso un sound unico in tutto e per tutto sembra ancora tortuosa. Ciononostante, con delle doti compositive di tale livello, l’impressione è che il prossimo appuntamento possa essere quello giusto per qualcosa di realmente memorabile. 68/100


Atrice - Mutualism

Atrice – Mutualism. Introdurre artisti sconosciuti ai più non è mai semplice, e la soddisfazione di dare più informazioni possibili per poter illustrare a tutti la propria scoperta è impareggiabile. Purtroppo, non è questo il caso: quello che so è che dovrebbe trattarsi di un duo svizzero, affiliato alla Ilian Tape e nulla più. Ma in fondo, ha davvero senso? Meglio lasciar parlare la musica, perché gli elementi interessanti sono diversi. Colpiscono soprattutto le ritmiche, che passano in maniera agile da un reggaeton scarnificato alla drum’n’bass, ma non mancano i momenti più atmosferici, ammantati da una strana foschia che però lascia intravedere qui e lì degli spiragli di luce. Ci avete capito qualcosa? No? Neanche io. Ma fidatevi se vi diciamo che questo Mutualism è una delle sorprese più piacevoli di questa prima parte dell’anno. 70/100


DJ Gigola - Fluid Meditations

DJ Gigola – Fluid Meditations. Giunta al debutto per il collettivo Live From Earth, il chiacchierato talento di scuola berlinese Paulina Schulz decide di puntare le sue fiches su una formula rischiosa. Fluid Meditations spalma la sua ora di durata su due soluzioni, una dagli intenti meditativi – incapaci di sortire l’effetto sperato – e una caratterizzata da un buon filotto di tracce dove la tedesca crea un mix di techno, trance e tribalismi più vicino ai singoli che l’avevano lanciata. A malincuore, ciò non eleva a prova da ricordare un disco che è lo specchio di un problema comune ad alcuni artisti club-oriented, ossia il tortuoso primo passo verso l’albo. Nessuno è qui per condannare la genuinità della proposta, ma nemmeno per promuoverne la conciliabilità con questo formato. 62/100


Giant Swan - Fantasy Food

Giant Swan – Fantasy Food. I Giant Swan calcano nuovamente le scene dopo qualche anno di assenza, dimostrando di non aver perso l’aggressività per cui si erano fatti apprezzare con l’omonimo debutto. Fantasy Food introduce qualche piccola novità alla loro proposta; l’approccio punk conscio delle avanguardie britanniche non è andato perduto, ma ha cautamente aggiunto al suo bagaglio un pizzico di eleganza in sede di produzione, avvicinando alcune tracce a una zona dove parlare di melodia non sembra così blasfemo. Al duo si può biasimare un’inclinazione al rischio in questo caso solo ristretta, ma quella tentata dai britannici è una transizione complicata e l’EP in questione doveva servire anche a scrollarsi di dosso un po’ di ruggine, dunque concediamo loro un’ulteriore prova prima di procedere coi rimproveri. 67/100


Oceanic - Choral Feeling

Oceanic – Choral Feeling. Il nome dell’albo con cui l’ambizioso DJ olandese tenta di affacciarsi a palcoscenici importanti è un indizio legato alla sua genesi; Oceanic si è circondato di persone care e ha trasformato i loro impulsi vocali in progressioni elettroniche che giocano con la meccanica dei loop. Quando tutto funziona a dovere ci si imbatte in fasi dall’alto tasso emotivo, dove invece ciò non avviene si avvertono i limiti della formula. Al producer va dato atto di aver assorbito le mosse dei grandi della scorsa decade evitando l’effetto copia e incolla, perché pezzi pregni delle influenze dell’OPN di R Plus Seven come “Sing It To Happen” e “Sunshine, Dear” non sarebbero stati proponibili ai più attenti senza l’aggiunta di un tocco personale. Con una scaletta organica la valutazione sarebbe stata più generosa. 74/100


Santa Muerte - Eslabón

Santa Muerte – Eslabón. L’EP più interessante di questo inizio d’annata esce per la storica Hyperdub, che dimostra di sapersi rinnovare pur non rinnegando il suo illustre passato. Panch Briones, messicano di stanza a Houston, tiene infatti conto della lezione di quel periodo d’oro dell’elettronica inglese, ma utilizza le sue influenze latine per portare quei preziosi insegnamenti verso nuovi orizzonti. Riscoprire il patrimonio musicale delle origini per riattualizzarlo ibridandolo con i linguaggi più attuali è un topos cruciale per l’elettronica contemporanea, e già i titoli delle tracce qui presenti parlano di un legame inscindibile con le varie culture di quella terra di confine tra Messico e Texas. Poco più di dodici minuti, ma con una quantità di idee e spunti da far impallidire tante release allungate ben oltre la giusta durata. 75/100


Scotch Rolex and Shackleton - Death By Tickling

Scotch Rolex & Shackleton – Death By Tickling. L’incontro tra due artisti in continua evoluzione come Shackleton ed il giapponese Scotch Rolex aveva tutto per essere esplosivo. Ammetto che le mie aspettative su questo progetto erano alte: come si sarebbero coniugati i bassi scuri e pulsanti del primo con le ritmiche assassine del secondo, ancora più incendiarie dopo i recenti contatti con la scena elettronica ugandese? Purtroppo, la domanda è rimasta parzialmente senza risposta. La collaborazione risulta infatti sbilanciata verso Shackleton, la cui idea di psichedelia tribale finisce per relegare sullo sfondo le brutali accelerazioni del collega. Il risultato è senza ombra di dubbio suggestivo, oltre che genuinamente disturbante in alcuni dei punti più riusciti. I motivi di interesse insomma non mancano, ma l’ascolto integrale di un album così prolisso e che manca l’obiettivo di avvicinare due mondi all’apparenza distanti risulta in definitiva asfissiante. Un pezzo come “Love Songs” acuisce il rimpianto per questa occasione sprecata. 59/100


Two Shell - lil spirits

Two Shell – lil spirits. L’enigmatico duo londinese, con la sua declinazione moderna delle ritmiche UK bass, si è saputo affermare come autore di una delle proposte più fresche dell’anno passato, e a mesi dall’uscita dell’ottimo Icons decide di ampliare il suo catalogo con lil spirits. Trattasi di una versione più sbarazzina del sound che aveva sin qui contraddistinto i loro singoli, forse troppo tendente al pop e dai sample più ridondanti del solito, ma contenente spezzoni sufficienti a giustificarne la pubblicazione. Insomma, un EP di transizione che scalda i motori in vista di un debutto sulla lunga durata che si preannuncia vulcanico. 65/100


Tzusing - Green Hat

Tzusing – Green Hat. L’artista originario della Malesia torna dopo circa una decade a produrre musica per la PAN, offrendo una maggior varietà nell’organizzazione della scaletta più che nella formula, che mantiene l’ossatura industrial techno ma perde parte delle influenze orientali che avevano fatto la fortuna di alcune delle sue migliori tracce. L’uscita è stata accolta caldamente dalla critica, colpevole di essersi lasciata ammaliare un po’ troppo dai significati politico-culturali del disco. Allinearsi a un simile giudizio significherebbe spostare l’attenzione verso un fattore poco determinante ai fini di ciò che conta davvero, perciò promuoviamo Green Hat in quanto prodotto complessivamente riuscito e capace di intrattenere a dovere. Sappiate prenderlo come tale. 70/100


Yushh - Look Mum No Hands

Yushh – Look Mum No Hands. Originaria di Bristol, Yushh si è costruita una fama come nuova sensazione della club music della sua città a suon di remix e DJ set. La curiosità per il suo esordio su Wisdom Teeth era parecchia, e possiamo ben dire che le aspettative non sono state tradite. I sei minuti di media dei quattro brani che compongono l’EP non sono casuali: la producer preferisce dare alle proprie creazioni la possibilità di “respirare” per esprimere al meglio tutte le loro sfumature. Su un canovaccio tipicamente UK bass si inseriscono di volta in volta pulsazioni techno, ritmiche caraibiche ed echi del post dubstep di inizio anni Dieci, con una personalità rara per un esordio. Ci sarà sicuramente bisogno di ulteriori conferme, ma se le premesse sono queste Yushh si candida fin da ora ad essere uno dei nomi da seguire con maggiore interesse. 71/100