TRIP HOP 2.0 CERCASI

È successo che dopo non so quanti anni, l’altra mattina ho rimesso su l’omonimo dei Portishead. L’ho ascoltato nel tragitto casa-lavoro, quindi neanche per intero, ma quei 25-30 minuti mi hanno ricordato che ridendo e scherzando, stiamo ancora aspettando quel “multi-layered synthesizer record” annunciato da Geoff Barrow già nel 2009 come seguito di Third (2008, … che disco della stramadonna ragazzi!), e poi evidentemente scomparso da qualche parte nei loro studi di Bristol. Con i Massive Attack che non avevano convinto con Heligoland e con un Del Naja che non conferma e non smentisce di non essere solo 3-D ma anche Banksy, e soprattutto con un resto della scena che non è mai riuscita a produrre progressi, le fiches per un possibile trip hop 2.0 vanno tutte sopra i sintentizzatori analogici dei Portishead. Già perché se ci pensate, il genere trip hop ha prodotto molto meno di quello che poteva. Se cercate su RYM quanti e quali dischi sono i capisaldi di quel filone, anche scomponendo a un livello superiore e navigando dentro la voce “downtempo”, i titoli e i nomi sono sempre quelli. Forse c’era e c’è spazio per qualcosa in più? 

Oggi che il marchio Massive Attack si vede scritto solo in periodi declinati al passato, tracce come le ultime da loro pubblicate e che un tempo ci avrebbero fatto sballare come “Ritual Spirit” o “Dead Editors” stanno a ricordarci quelle sensazioni e ad alimentare il dubbio che forse questo genere, il trip hop, non abbia del tutto espresso tutto il suo potenziale. Perché vengono in mente anche i primi Goldfrapp, Tricky, i più radio-friendly Morcheeba e qualche singolo degli UNKLE. Ma è tutto qui? Non c’è stato altro di rilevante? I Casino Royale? Gli Sneaker Pimps? I Lamb? Dai, troppo poco per rimanerci veramente sotto. Possibile che nessuno sia mai riuscito ad avvicinarsi ai migliori Portishead e Massive Attack, e che così pochi ci abbiano provato?

I successori di Mezzanine prima e di 100th Window poi li abbiamo attesi con la morbosità e l’impazienza con cui ai tempi aspettavamo i nuovi dischi di Nine Inch Nails o Radiohead. Quei beat inconfondibili, ripresi anche nelle pubblicità della Levi’s prima e della Hugo Boss poi, ci hanno sedotto quando non sapevamo nulla, proprio nulla di elettronica (e un po’ come è accaduto con Kid A, sono stati una porta verso nuova musica), e le voci calde e nere, o bianche e gelide di quelle canzoni così unconventional – per l’epoca – ci sono entrate sottopelle, tanto che quando è venuto alla ribalta underground il movimento dubstep, noi eravamo già pronti a cavalcare l’onda. Per tutto questo, dobbiamo un grosso grazie a Robert Del Naja, Beth Gibbons e Geoff Barrow.

Riascoltando gli album migliori di questa scena viene ancora da pensare che quella musica sia ancora viva, e che si può ancora rilanciare l’idea, la specie, il sound metropolitano che poi si è destrutturato ed evoluto in Burial, Vex’d e compagni della saga dubstep, sperando che nuove leve di varie razze si incrocino per formulare un trip hop 2.0, di cui sicuramente anche i King Midas Sound potranno essere riferimento. Poi ne riparliamo se i fatti seguiranno le nostre domande, ma la sensazione è che ci sia ancora da esplorare in più direzioni. Se i Massive Attack metteranno al mondo un disco degno del loro grande passato, e se i Portishead faranno lo stesso dando un forte seguito a Third, potrebbe succedere davvero. E di conseguenza, dal sottosuolo downtempo potrebbero emergere i loro eredi.