17 Luglio 2016

Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un silenzioso ma crescente ritorno di interesse per il post rock. Sia i soliti e rinvigoriti mammasantissima che diverse formazioni emergenti hanno pubblicato dischi che spesso, pur non potendo raggiungere gli apici del genere, hanno quantomeno offerto delle certezze di qualità a chi prova ancora a cercare qualcosa di nuovo tra gli scaffali dei pochi negozi di musica superstiti, online inclusi.
Avremo altra occasione per indagare sulle ragioni di questa rinnovata voglia di musica post, dopo anni in cui, senza la guida dei Godspeed You! Black Emperor e dopo aver assistito ai tour di Slint e Mogwai che suonavano i loro album migliori per intero, pensavamo tutti di esserne sazi a vita. Tuttavia l’uscita del sesto LP dei Russian Circles offre l’opportunità di allargare il discorso anche alle derive sludge e heavy della specie, che spesso abbiamo catalogato sotto l’etichetta post metal.
Chi ha già familiarità col suono del trio di Chicago non troverà novità. Si tratta infatti di un altro piccolo passettino nel percorso iniziato già un po’ fuori tempo massimo all’epoca di Enter (2006). Il disco si chiama Guidance ed è, in due parole, spontaneamente conservativo, anche e soprattutto nelle distorsioni. D’altronde piuttosto che cercare soluzioni distanti dalle loro conoscenze e possibilità tecniche, la volontà di mettere in piedi sette tracce perfettamente canoniche si rivela mossa vincente proprio ora che, come si diceva, sta tornando il post rock (o forse no). La stanchezza di prendere storte e delusioni cocenti porta spesso l’ascoltatore a premiare chi torna su sonorità magari già assorbite e prive dell’effetto sorpresa, ma che proprio per questa convenzionalità – davvero evidente in pezzi come “Lisboa” o “Afrika” – risultano in qualche modo rassicuranti. Si finisce per accettare un albo solo discreto e volto a consolidare quanto già proposto in passato (perché poi in casi come questo non puoi non sottolineare che assieme a Pelican e Red Sparowes, i Russian Circles hanno già ampiamente battuto tutte le possibili direzioni di questo filone del post rock), piuttosto che cercare invano novità succulente che il rock di oggi difficilmente propone o lascia emergere con fragore.
Il singolo, se così si può chiamare, “Mota” è sicuramente il brano più efficace del lotto. Il voto finale è puramente gratuito, probabilmente bastava un s.v.