MADE IN ITALY 2018 N.1

Prima parte di anno molto ricca di novità per quanto riguarda la musica indipendente del Belpaese, anche se, come vedremo, non sempre le attese – in alcuni casi elevate – sono state mantenute.
Ecco in rapida rassegna le principali uscite discografiche di questi mesi:

…A Toys Orchestra – LUB DUB
A quattro anni di distanza dal fortunato (e colorato) Butterfly Effect (2014), gli …A Toys Orchestra si ripresentano sulle scene con un lavoro decisamente più oscuro e lunare rispetto al fortunato predecessore. Se la precedente fatica era infatti tutta incentrata sul recupero di certe sonorità synth pop tipiche degli anni ’80, LUB DUB è a tutti gli effetti un disco rock, seppur tutto costruito intorno alle intuizioni pianistiche di Enzo Moretto – unico autore di musiche e testi – con suggestive ballate progressive pop che si alternano ad episodi di matrice tipicamente folk. Un album interamente cantato in inglese e dal respiro internazionale, in cui la band non ha paura di avventurarsi in territori fino ad oggi rimasti inesplorati. 72/100


Baustelle – L’amore e la violenza n. 2
Ad un anno di distanza dal fortunato L’amore e la violenza, i Baustelle tornano un po’ a sorpresa con il secondo volume della loro fatica, tutto incentrato sul tema dell’amore. Un disco composto quasi interamente mentre Bianconi e soci erano in tournée per lo Stivale, che – diciamolo subito – riesce a convincere solo a metà. Interessanti le parti strumentali, in cui la band riesce a recuperare le atmosfere delle colonne sonore dei Goblin e più in generale di certi film noir/horror italiani degli anni ’70; entusiasmante il singolo di lancio – in realtà già proposto durante i live dello scorso anno – Veronica n. 2, un evidente omaggio ai Pulp ed al miglior pop d’Oltremanica, le note positive però finiscono qui. Il resto dell’album, infatti, fatta eccezione per un paio di episodi sopra la media (“Jesse James & Billy Kid”; “L’amore è negativo”) risulta assai poco incisivo, con la scelta di concentrare il songwriting su di un unico tema che certo non ha aiutato il processo compositivo. Solo per fan. 60/100


Cosmo – Cosmotronic
Il disco della maturità di Marco Jacopo Bianchi, per il quale sembra finalmente giunto il momento di farsi conoscere anche dal grande pubblico e coronare così una carriera iniziata ormai più di quindici anni fa insieme ai Drink to Me. Un album doppio, composto da due parti tra loro molto differenti: un primo disco in cui Cosmo si conferma apprezzabile autore di canzoni pop fresche e orecchiabili, rese più gustose da un sapiente uso dell’elettronica e da un songwriting senza dubbio personale ed al passo coi tempi; un secondo disco decisamente più notturno e dall’anima techno, che ricorda come questo artista sia un animale da club e un profondo conoscitore delle musica da dancefloor, in ogni sua possibile declinazione. Al momento il disco italiano dell’anno. 77/100


Francesco De Leo – La Malanoche
Pop psichedelico e stralunato, impreziosito da testi anch’essi strambi e fuori dagli schemi, molto elaborati e colmi di citazioni, che rimandano alla nostra migliore tradizione cantautorale: è questa la ricetta, solo in apparenza semplice, della fatica da solista di Francesco De Leo, già leader dell’Officina della camomilla, uscita lo scorso mese di Aprile per Bomba Dischi (la stessa etichetta di Calcutta), prodotta ed ottimamente arrangiata da Giorgio Poi, altro nome emergente della nostra scena indipendente. Un disco breve, appena otto brani per ventidue minuti di musica circa, che non fa in tempo ad annoiare l’ascoltatore ed anzi colpisce in positivo per la sua freschezza. 65/100


I Ministri – Fidatevi
Da più di dieci anni I Ministri, band milanese capitanata da Federico Dragogna, vengono considerati dai più gli alfieri (!?) del “nuovo” rock alternativo Made in Italy, a riprova della crisi apparentemente irreversibile che da tempo pare aver colpito l’intera scena. Spero vorrete perdonare la (forse) eccessiva cattiveria di questo giudizio sommario, ma per chi è cresciuto ascoltando band come Afterhours, Marlene Kuntz o Bluvertigo, gli anni ’90 sembrano davvero lontani secoli e non si tratta solamente di una “questione di gusti”, come declamato da Dracogna nella traccia d’apertura di un disco nel complesso non brutto, ma incredibilmente piatto e privo di mordente. Rock orecchiabile, innocuo e fin troppo rifinito, in cui anche le (poche) intuizioni apprezzabili finiscono col perdersi nell’esasperata ricerca dell’easy listening. 54/100


Maisie – Maledette rockstar
Dopo ben nove anni di silenzio, i Maisie, band messinese capitanata da Alberto Scotti e dalla cantante Cinzia La Fauci, tornano sulle scene con un lavoro dissacrante e assolutamente non convenzionale, che forse ha nell’eccessiva lunghezza il suo limite più evidente (ben 31 brani per quasi due ore e mezzo di musica!). Le gemme pop presenti sono diverse e riescono a catturare con prepotenza l’attenzione dell’ascoltatore – la trascinante title track (con bellissimo video annesso) su tutte – così come il più delle volte colpiscono nel segno i testi non-sense e provocatori, ma il rischio di perdersi tra tutti questi eccessi è comunque assai alto. Album che merita tempo, da approcciare calma e attenzione, perchè capace di regalare inaspettate soddisfazioni. 74/100


Motta – Vivere o morire
L’attesa per la nuova fatica da solista di Motta era altissima dopo i riscontri positivi ottenuti un paio di anni fa dal convincente disco di esordio, La fine dei vent’anni (2016), capace di raggiungere le posizioni nobili di più di una classifica riepilogativa di fine anno. Promesse non mantenute, perchè questo Vivere o morire appare purtroppo un lavoro approssimativo e fuori fuoco, in cui il leader dei Criminal Jockers si muove senza apparente filo logico tra innocue ballate pop rock e folk sconclusionato. Ad aggravare il tutto, testi senza mordente e che non riescono a colpire nel segno, autentico mortale per qualsiasi disco con pretese intimiste. Al momento la principale delusione di questo scorcio di anno. 52/100


One Dimensional Men – You Don’t Exist
Pierpaolo Capovilla, accantonata (temporaneamente?) l’avventura in lingua italiana con Il teatro degli orrori, torna alla sua creatura prediletta con questo nuovo album che segue di ben sette anni il precedente A Better Men (2011). Ad accompagnarlo in questo viaggio una line-up totalmente rinnovata nella quale Luca Bottigliero e Giuliano “Ragno” Favero sono egregiamente rimpiazzati da Franz Valente e Carlo Veneziano. Undici nuovi episodi che, tra i consueti assalti sonici all’arma bianca e inaspettati rallentamenti, mostrano una band senza dubbio salute e ispirata come non accadeva da tempo, che – c’è da scommetterci – grazie a questa fatica riuscirà a far breccia nel cuore di una nuova generazione di ascoltatori. 70/100


Pop X – Musica per noi
Un disco purtroppo non del tutto sufficiente quello del pittoresco collettivo trentino guidato da Davide Panizza, incapace non solo di evolversi rispetto a quanto proposto col precedente Lesbianitj (2016), ma addirittura di ricalcarne efficacemente la fortunata formula. Rimane l’indubbia freschezza del loro pop hypnagogico da cameretta, sfrontato e politicamente scorretto, che costituisce da sempre il marchio di fabbrica della proposta, così come rimangono due/tre brani che indubbiamente funzionano e verranno sicuramente acclamati durante i live (“Teke Taki”, “Orci dentali”, il singolo “Figli di puttana”), ma la ripetitività di certe soluzioni a tutta cassa, accompagnata da testi decisamente meno incisivi rispetto al recente passato, finisce alla lunga con rendere l’ascolto del tutto un po’ pesante. Da provare solo col tasto skip a portata di mano. 58/100


Siberia – Si vuole scappare
I Siberia sono una giovane formazione toscana che – come facilmente intuibile dal nome – si propone di rinnovare i fasti della effervescente scena new wave fiorentina dei primi anni ’80, quella dei Litfiba e, appunto, di Federico Fiumani e dei suoi Diaframma. Nove malinconici brani che non si può fare a meno di canticchiare, in perenne bilico passato e presente – impossibile non sentire gli echi di band internazionali protagoniste assolute di questi ultimi anni, come Interpol ed Editors – forse penalizzati da una produzione troppo pulita, ma che nel complesso funzionano e sono decisamente qualcosa in più di una semplice operazione nostalgia. 65/100


Spiritual Front – Amor Braque
Simone Salvadori e soci, tra le poche realtà italiane indipendenti a godere di una solida reputazione anche fuori dai confini nazionali, dopo cinque anni di silenzio tornano sulle scene con un nuovo album folk rock dalle tinte oscure, rigorosamente in lingua inglese, espressione di una cifra stilistica senza dubbio personale e ormai ben definita, da loro stessi ribattezzata “nihilist suicide pop”, in cui un certo tipo di immaginario tipicamente dark e neofolk (alle spalle anche una collaborazione con i Death in June) si fonde sapientemente con la musica popolare, non solo italiana, ed il cantautorato colto. Tredici nuove ballate per cuori tormentati dunque, fotografia di un gruppo originale e fuori dagli schemi, almeno per le nostre latitudini. 70/100


The Zen Circus – Il fuoco in una stanza
Altro lavoro convincente per la storica formazione punk rock pisana, con Andrea Appino che pare aver trovato nuova ispirazione e nuova consapevolezza grazie alla propria carriera parallela di cantante solista. Un disco nel complesso meno sfrontato rispetto ai predecessori, ma che spicca nella discografia degli Zen Circus proprio per i testi più maturi e disincantanti composti dal leader e frontman della formazione. Ballate mid tempo come “La stagione” e l’omonima title track, con la loro soffusa malinconia, rappresentano gli episodi più convincenti di un album al tempo stesso orecchiabile e non banale, a cui vale la pena dare una chance. 68/10