Little Simz – Sometimes I Might Be Introvert

Little Simz – Sometimes I Might Be Introvert

Il mondo dell’hip hop ha da sempre i suoi codici, le sue fissazioni ricorrenti e le sue peculiarità, spesso difficili da comprendere da chi non è avvezzo al genere. Una delle più longeve è quell’ossessione che porta ogni rapper ad autoproclamarsi il migliore, il più forte, il numero uno. Un argomento che si estende poi alle rispettive fanbase, sempre pronte a portare argomenti a sostegno dei propri beniamini. Ma oggi, c’è una vera risposta all’annoso quesito? Forse qualche anno fa non avremmo avuto dubbi a rispondere Kendrick Lamar, una delle figure più influenti della storia della black music, ma è dal 2017 che non ascoltiamo qualcosa di nuovo. Quindi? Potremmo a ragione inserire nel discorso rispettatissimi outsider come Freddie Gibbs o Earl Sweatshirt, ad esempio.

Oppure potremmo fare il nome di Simbi Ajikawo, in arte Little Simz, che negli ultimi due lavori ha veramente dato una svolta alla sua carriera, imponendosi come interprete dotata di grandissima tecnica e stile, oltre che di una penna raffinata e brillante.

Sometimes I Might Be Introvert conferma tutte le impressioni positive che avevamo avuto due anni fa all’uscita di Grey Area, e se possibile le rafforza inserendo nuove sfaccettature. Difficile trovare un disco hip hop così completo a livello di temi e sonorità, in cui la rapper britannica di origine nigeriana si mette a nudo concentrandosi sulla dicotomia tra il suo lato più introverso e privato e la sua personalità di rapper funambolica.

Nel farlo affronta anche temi forti, come il rapporto difficile col padre, nel singolo “I Love You, I Hate You”, un momento di storytelling nudo e crudo dal sapore old school. In questo viaggio la sua scrittura è adeguatamente supportata dalle produzioni del fido Inflo (la mente dietro i SAULT), che ripropone la secchezza della release precedente giusto in “Speed” e nella grimy “Rollin Stone”, alzando tantissimo la posta con beat dal sapore orchestrale, tanti sono i dettagli presenti. Questi beat, oltre ad essere piacevoli all’ascolto in sé, sono anche perfetti per accompagnare il flow micidiale di Little Simz, rendendo il tutto estremamente chill.

Non manca inoltre qualche colpo a sorpresa, come i richiami alla sua terra d’origine nella doppietta “Point and Kill” e “Fear No Man”, o la super 80s “Project My Energy”. Quando poi decide di lavorare su un sample, Inflo cesella un piccolo gioiello in “Two Worlds Apart”, in cui la sublime voce di Smokey Robinson si fonde e si confonde con quella di Simbi Ajikawo, una soluzione quasi alla Kanye West esaltata ulteriormente dal cambio di ritmo assassino della rapper nella parte finale.

Di fronte a quanto detto, non stupisce il fatto che sia il web sia la critica hip hop abbia esaltato il lavoro conferendogli un’aura da classico istantaneo. Più tiepida la critica più orientata al rock, che invece ha spesso notato l’eccessiva lunghezza e alcune ripetizioni. Da quale parte schierarsi? Diciamo che la verità sta quasi nel mezzo.

Nei momenti migliori, e sono tanti, il livello è veramente altissimo, e pur con un piglio a volte un po’ autoreferenziale, la narrazione fila via che è un piacere. Non è però una bestemmia far notare che qualche lungaggine di troppo c’è, e tagliare qualche minuto avrebbe ulteriormente aumentato la caratura di un disco destinato comunque a far parlare.

Non siamo dunque dalle parti di Illmatic, e neanche di due classici del decennio scorso come My Beautiful Dark Twisted Fantasy o To Pimp a Butterfly, ma il risultato resta di notevolissima fattura e si ha l’impressione che scrivere un capolavoro sia veramente nelle corde di Little Simz. Appuntamento al prossimo capitolo, dunque.