SpoilerShow
Mancavano soltanto i pirati, qualcuno potrebbe dire, guardando alla composizione del Parlamento Europeo dopo le recentissime elezioni nel Vecchio Continente.
Eppure, in un qualche modo, lo si poteva anche prevedere, e non solo per certe derive partitistiche tanto in auge in questo periodo, soprattutto, e ovviamente, in Italia.
Arrivano i pirati, dunque, ma non quelli con la benda nera sopra l’occhio, con il volatile sulla spalla e un tesoro da cacciare o nascondere; no, quelli che arrivano sono altri pirati, frutto di questa nostra società ormai quasi bipartita (democraticamente, forse) fra popolo della realtà e popolo della rete, dove le due dimensioni si sovrappongono un po’ come le onde metaforicamente cavalcate da questo attacco piratesco dalle forti tinte vichinghe.
Al giorno d’oggi, quindi, anche i pirati, i cosiddetti bucanieri, sono cambiati (non tutti: in Somalia o nei Caraibi girano certe versioni che non hanno nulla da invidiare a certe realtà filmiche tutt’altro che disneyane): vengono dalla Svezia, sono per lo più biondi, hanno gli occhiali al posto dell’occhio di vetro, il loro pappagallo probabilmente è lentamente scivolato dalle spalle alle parti inguinali per overdose di pratiche sedentarie presso PC o Mac sempre accesi e, fatto più importante, il loro tesoro non c’è! (Belli i tempi in cui a sparire era la famosa isola…). Obiettivo del Piratpartiet, movimento e poi partito nato in terra svedese e ormai in espansione in tutto il Continente, infatti, pare non tanto quello di affermare la proprietà su un oggetto (e l’idea di bottino ad essa legata), quanto l’inverso; ovvero, liberare gli oggetti (dischi, movies e opere in generale) dai loro proprietari, e, diversamente dai loro baffutissimi antenati, senza cadere nella tentazione anti-robinhoodiana del libera-per-prendere (o si?...).
I pirati del 2000, quindi, prendono a tutti per ridare a tutti, creando sì un tesoro, nelle loro tanto sequestrate quanto nascoste banche dati, ma in vista di una ridistribuzione dallo stantio profumo marxista che fa sì che quel tesoro in realtà non venga mai ad esistere se non come mera virtualità omni-accessibile da un pubblico, maggiormente giovanile, che ormai sente come un diritto il dovere economico dell’atto d’acquisto.
Le cronache (spesso a livello cartoonistico in pura matrice One Piece) li dipingono come i nuovi liberatori, coloro che, accogliendo una domanda della famosa “democrazia dal basso “ di grillina memoria, stanno rivoluzionando l’idea stessa di politica, agendo direttamente sull’elettorato con proposte che vanno a guardare quei problemi che la politica ufficiale sembra aver deciso di non vedere, o di non vendere.
Il mondo, nel frattempo, continua, e in modo differenziato a seconda degli stati, a vivere le proprie battaglie intestine, con proposte di leggi più o meno radicali per mettere a tacere forse più gli esponenti che le pratiche individuali di questo fenomeno collettivo e di massa che ormai imperversa noncurante di generazioni o di classi.
In Francia, stato che sarebbe capace di trasformare la pirateria in fenomeno anche chìc, il martello delle majors e delle case di produzione, ovvero i famosi colonialisti, ha anche cercato di respingere sul loro terreno le orde nordiche con leggi tanto brutali quanto esplicitamente incostituzionali; in altri paesi, invece, la linea governativa pare generalmente più lasciva, quasi a prendere Ponzio Pilato come modello indiscusso per atti comportamentali su scala statale; in Italia, come ovvio, la discussione esiste solo uno o due giorni all'anno sull stampa ufficiale, mentre in rete, pare, il cittadino esercita i suoi diritti senza il bisogno di prodotti esteri per avvalorare la propria praxis.
Noi non sappiamo come andrà a finire: riusciranno i pirati a resistere alle tentazioni dei lussuosi alberghi di Bruxelles senza svendersi e cadere in borghezionismi di tutt’altra ispirazione? Riusciranno i pirati a scrivere anche solo una leggina ad hoc per permettere a noi popolo della realtà di vederci riconosciuti come cittadini di quell’altra dimensione, quella virtuale, una dimensione che sempre di più crea domanda di libertà da fili, da modem ingombranti e magari anche da copyright che mai come prima sembrano apparire come vecchi fossili di altre rivoluzioni moderne? Riusciranno i pirati, infine, a fare veramente i pirati?
Meglio ripeterlo: non lo sappiamo. Ma staremo a vedere, mentre la vita va avanti e la politica, con o senza pirati, sembra semplicemente andare avanti, con la pratica quotidiana che impara a vivere da sola, con bandiera nera o rossa issata. Un teschio cambia poco le cose.
I pirati del 2000 non hanno dimenticato una cosa,tuttavia: come i loro padri, bevono rum.
Eppure, in un qualche modo, lo si poteva anche prevedere, e non solo per certe derive partitistiche tanto in auge in questo periodo, soprattutto, e ovviamente, in Italia.
Arrivano i pirati, dunque, ma non quelli con la benda nera sopra l’occhio, con il volatile sulla spalla e un tesoro da cacciare o nascondere; no, quelli che arrivano sono altri pirati, frutto di questa nostra società ormai quasi bipartita (democraticamente, forse) fra popolo della realtà e popolo della rete, dove le due dimensioni si sovrappongono un po’ come le onde metaforicamente cavalcate da questo attacco piratesco dalle forti tinte vichinghe.
Al giorno d’oggi, quindi, anche i pirati, i cosiddetti bucanieri, sono cambiati (non tutti: in Somalia o nei Caraibi girano certe versioni che non hanno nulla da invidiare a certe realtà filmiche tutt’altro che disneyane): vengono dalla Svezia, sono per lo più biondi, hanno gli occhiali al posto dell’occhio di vetro, il loro pappagallo probabilmente è lentamente scivolato dalle spalle alle parti inguinali per overdose di pratiche sedentarie presso PC o Mac sempre accesi e, fatto più importante, il loro tesoro non c’è! (Belli i tempi in cui a sparire era la famosa isola…). Obiettivo del Piratpartiet, movimento e poi partito nato in terra svedese e ormai in espansione in tutto il Continente, infatti, pare non tanto quello di affermare la proprietà su un oggetto (e l’idea di bottino ad essa legata), quanto l’inverso; ovvero, liberare gli oggetti (dischi, movies e opere in generale) dai loro proprietari, e, diversamente dai loro baffutissimi antenati, senza cadere nella tentazione anti-robinhoodiana del libera-per-prendere (o si?...).
I pirati del 2000, quindi, prendono a tutti per ridare a tutti, creando sì un tesoro, nelle loro tanto sequestrate quanto nascoste banche dati, ma in vista di una ridistribuzione dallo stantio profumo marxista che fa sì che quel tesoro in realtà non venga mai ad esistere se non come mera virtualità omni-accessibile da un pubblico, maggiormente giovanile, che ormai sente come un diritto il dovere economico dell’atto d’acquisto.
Le cronache (spesso a livello cartoonistico in pura matrice One Piece) li dipingono come i nuovi liberatori, coloro che, accogliendo una domanda della famosa “democrazia dal basso “ di grillina memoria, stanno rivoluzionando l’idea stessa di politica, agendo direttamente sull’elettorato con proposte che vanno a guardare quei problemi che la politica ufficiale sembra aver deciso di non vedere, o di non vendere.
Il mondo, nel frattempo, continua, e in modo differenziato a seconda degli stati, a vivere le proprie battaglie intestine, con proposte di leggi più o meno radicali per mettere a tacere forse più gli esponenti che le pratiche individuali di questo fenomeno collettivo e di massa che ormai imperversa noncurante di generazioni o di classi.
In Francia, stato che sarebbe capace di trasformare la pirateria in fenomeno anche chìc, il martello delle majors e delle case di produzione, ovvero i famosi colonialisti, ha anche cercato di respingere sul loro terreno le orde nordiche con leggi tanto brutali quanto esplicitamente incostituzionali; in altri paesi, invece, la linea governativa pare generalmente più lasciva, quasi a prendere Ponzio Pilato come modello indiscusso per atti comportamentali su scala statale; in Italia, come ovvio, la discussione esiste solo uno o due giorni all'anno sull stampa ufficiale, mentre in rete, pare, il cittadino esercita i suoi diritti senza il bisogno di prodotti esteri per avvalorare la propria praxis.
Noi non sappiamo come andrà a finire: riusciranno i pirati a resistere alle tentazioni dei lussuosi alberghi di Bruxelles senza svendersi e cadere in borghezionismi di tutt’altra ispirazione? Riusciranno i pirati a scrivere anche solo una leggina ad hoc per permettere a noi popolo della realtà di vederci riconosciuti come cittadini di quell’altra dimensione, quella virtuale, una dimensione che sempre di più crea domanda di libertà da fili, da modem ingombranti e magari anche da copyright che mai come prima sembrano apparire come vecchi fossili di altre rivoluzioni moderne? Riusciranno i pirati, infine, a fare veramente i pirati?
Meglio ripeterlo: non lo sappiamo. Ma staremo a vedere, mentre la vita va avanti e la politica, con o senza pirati, sembra semplicemente andare avanti, con la pratica quotidiana che impara a vivere da sola, con bandiera nera o rossa issata. Un teschio cambia poco le cose.
I pirati del 2000 non hanno dimenticato una cosa,tuttavia: come i loro padri, bevono rum.