Avendo da poco terminato la lettura di Infinite Jest sto cercando di riordinare un po' le idee.
Posto che di letteratura americana ho letto veramente poco, per me è assolutamente un unicum. Non tanto a livello tematico, quello è, tra
grosse virgolette, "meno importante", ci sono molti romanzi più diretti e fruibili che dicono "cose più interessanti", se vogliamo anche più profonde. Ma la quantità di temi teorici e domande fondamentali toccati nevralgicamente è veramente importante. Ciò che lo rende, a mio avviso, un autentico capolavoro, sono primariamente lo stile e la modalità di intreccio. Prendi la tecnica del montaggio, portala agli estremi e falla letteralmente esplodere; incasina tutta la dimensione cronologica, dissemina la trama in una infinità di note e sottonote, nomina un personaggio una volta ogni duecento pagine, elimina una qualsiasi unità di focalizzazione e punto di vista, rivela chiaramente la fine del libro nelle prime 100 pagine senza che il lettore se ne possa accorgere veramente (no, non è uno spoiler, perché alla prima lettura è impossibile cogliere quei particolari di cui sto parlando, perché del tutto irrelati per uno che non sia arrivato almeno a pagina 800 con una certa attenzione). Ciò che ho veramente amato è la confusione. L'entropia. È un libro che si comporta come la realtà contemporanea nella sua caoticità. Durante la lettura di tutta la prima metà mi sono veramente scervellato per starci dietro, perché non mi accontentavo di non sapere in che contesto un determinato personaggio parlava, quale fosse la sua età, a volte addirittura
che personaggio fosse. Sono arrivato a stilare una cronologia per ordinare i vari anni sponsorizzati e capirci qualcosa
prima che venisse esposta chiaramente dal libro stesso. E anche andando avanti, quando ero ormai verso la fine, leggendo determinati particolari mi si accendeva la lampadina, e tornavo nella prima metà, rileggevo alcune parti, ricontrollavo note, perché intuivo che c'era un collegamento volutamente lasciato nascosto, o meglio, non esplicitato.
Quanto segue, invece, è uno spoilerone vero e proprio:
[spoiler]Se non ve ne siete accorti, il finale non è aperto. A pagina 20 viene chiaramente detto che Hal e Don Gately - che quindi si è salvato - dissotterrano la testa di J. O. Incandenza, dentro la quale si trova la cartuccia di Infinite Jest, come viene fatto intuire nel colloquio con il conversazionalista che inizia a pag. 32. Non è chiaro in quale momento sia stata impiantata nella testa di J.O., se prima o dopo il suicidio: se la risposta fosse "prima" questo spiegherebbe la modalità del
felo de se come un tentativo di distruggerla; in caso contrario sarebbe un modo per dare spazio al suo inserimento, nell'ambito della dovuta "ricomposizione" della sua testa esplosa. La condizione psichica finale di Hal (cioè quella presentata a inizio libro) potrebbe tra l'altro essere dovuta all'eventuale visione della cartuccia, e non solo all'astinenza dalla cannabis. Come viene rivelato, in realtà è proprio per Hal che J. O. ha creato Infinite Jest, non si capisce in maniera quanto inconsapevole rispetto al risultato - Joelle dice che scherzava, che era tutto per scherzo: però le varie comparse sporadiche della cassetta sembrano essere proprio vendette personali di J. O. verso determinate persone, ordinate attraverso il testamento, come nel caso dell'attaché medico che è collegato alla comparsa della scritta sul vetro dell'automobile di Avril.
Se qualcuno vuole più particolari su queste cose lo dica, faccio un post con i numeri di pagina di riferimento.[/spoiler]
Dallo spoiler emerge uno dei motivi per cui ho amato il libro: ti obbliga a lavorare di cervello, e tanto. Primariamente per la trama, ma anche e soprattutto a livello lessicale. Mi sono segnato una miriade di parole provenienti da vari lessici specifici, cercandole ogni volta nel dizionario. Alcune le ho addirittura fatte involontariamente mie, e a volte mi escono in conversazioni banali in cui risultano incomprensibili. Stesso discorso a livello sintattico: quelle subordinate infinite ti impongono di restare lì, e fare attenzione. Non necessariamente fermarti e tornare indietro, perché dopo un inserto lungo mezza pagina Wallace ha almeno il buon gusto di ripetere a titolo informativo il punto che aveva lasciato in sospeso: pratica interessante per creare un effetto di confusione evidente mantenendo una sostanziale intellegibilità. A livello stilistico l'ho amato per questo: crea l'effetto del parlato senza mai pretendere di
essere parlato. Tutto è chiaramente ordinato e non casuale, ma abbastanza incoerente in certi contesti da sembrare spontaneo.
Sui temi principali:
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Droghe e dipendenza: Aspetto interessantissimo, per quanto mi riguarda mai approfondito fino a questo punto. Mi ha dato molto anche perché si tratta, indirettamente, di un discorso sull'intelligenza umana, sul fatto che comprendere e analizzare la realtà significhi essere tristi e perdere le speranze: solo coloro che accettano la realtà invece di sviscerarla, che smettono di desiderare e vivono in ogni istante invece che in un'ottica teleologica riescono a sopravvivere, ovvero ad uscirea dalla dipendenza. AA = salvezza nella banalità dell'esistenza, mi viene quasi da dire che Gately sembra un personaggio mitico-religioso. Tutta la problematica della dipendenza è legata all'atto di fede, se uno ci riflette un'attimo, in maniera molto profonda.
Qui la pecca è la ripetitività, Wallace si dilunga troppo su certi concetti ormai triti e ritriti: ma, in un certo senso, questa è l'essenza stessa del programma AA, il modo in cui e per cui funziona, e lo si può intendere come una volontà di farlo percepire direttamente a partire dal testo.
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Intrattenimento: ovviamente del tutto collegato al lato droghe, ma più generalizzato. È forse qui che Wallace tocca il picco più altro. È una critica fortissima al rinnovato edonismo contemporaneo; se viviamo solo per il piacere, cosa resta veramente di noi? Porta il problema dell'annullamento nella dipendenza (come nel caso dell'eroina) su un piano molto più ampio e condivisibile perché tocca una dimensione che ci accomuna tutti, appunto quella dello spettacolo, che è effettivamente la dipendenza del 90% delle persone che non si drogano.
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Politica e pulizia: c'è il concetto dell'identificazione del nemico per garantire l'unità sociale, da Macchiavelli a Umberto Eco, c'è il problema attualissimo dell'ambientalismo, il Partito Pulito degli USA lo trovo, nel suo essere estremamente parodistico, qualcosa di geniale: una delle perversioni dei nostri tempi è proprio l'idolatria dell'asettico, l'illusione del tutto infondata che qualcosa di
pulito sia qualcosa di buono e affidabile, il che va a toccare i più profondi abissi della storia umana (c'è un motivo se si chiama
pulizia etnica) e il problema fondamentale della nostra visione dell'altro: è illuminante quella parte dove Mario stringe la mano ai barboni, del tutto secondaria rispetto alla trama ma concettualmente importantissima
anche per comprendere il personaggio di Mario
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Complottismo e terrorismo: forse questa è la parte un pochino più debole, che risulta più diciamo irrelata, anche se gli AFR hanno qualcosa di bizzarramente romantico (da quando ho finito il libro ogni volta che vedo un mendicante senza gambe aumento istintivamente il passo
) e il personaggio di Marathe è la prova tangibile che, pur nel male viscerale che domina la logica ONAN, quella dei quebechiani non è una soluzione o qualcosa di migliore: profondissimi d'altro canto i dialoghi tra Marathe e Steeply, una riscrittura dialogica molto immediata dei problemi costitutivi dell'etica occidentale. Ci sono altre zone narrative che comunicano molto meno tuttavia, e se si esclude Marathe tutta la parte di trama relativa agli AFR è quella più debole: ci si salva giusto perché ammazzano la gente e quindi l'attenzione non se ne scappa via.
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Sport e Tennis: capisco che questo aspetto possa risultare noioso per molti. Per quanto mi riguarda il tennis è praticamente l'unico sport che seguo davvero e che mi piace, quindi ogni volta che partiva su quella linea ero contento come una pasqua: capisco però che non sia di sicuro un tema così condivisibile, e forse è anche quello trattato meno metaforicamente, sembra paradossale ma se tutti gli altri aspetti creano collegamenti forti a livello inconscio tutta la questione Tennis è più debole, eccetto per qualche raro esempio e per l'Escathon, che è un'altra storia. Ciò che è importante in realzione all'ETA è la parte legata all'educazione a alla condizione psicologica dei ragazzi: quello sì che dice molto sulla interiorità umana, sul fatto che per resistere e andare avanti bisogna stare dietro alla
carota, ovvero l'obbiettivo: togli a un uomo il suo obbiettivo e resterà un involucro vuoto di percezione e astrazione - esattamente come accade ad Hal nella parte finale.
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Deformità e menomazione: Mario, Joelle, gli AFR, Pat, vari personaggi secondari alla Ennet, si perde il conto. Il rapporto col diverso è una presenza costante nel libro, e nella maggior parte dei casi i menomati sono personaggi positivi, e per un motivo teorico abbastanza semplice: la deformità del proprio aspetto esteriore implica l'impossibilità del narcisismo, e quindi una necessaria autocritica del proprio sé, che da un punto di vista sia conoscitivo che morale è l'esatta differenza tra l'essere o no dalla parte del giusto. Orin, il bello, atleta di successo, è il personaggio forse più psicologicamente disturbato del libro, proprio perché non se ne rende davvero conto, non è in grado di ammetterlo, non critica mai se stesso e da la colpa agli altri, di cui ha bisogno compulsivamente ma per cui non riesce a provare assolutamente nulla. Mario è l'esatto contrario: orrendo, quasi incapace di muoversi, ritardato, e così via. Ma chi dei due è più felice? Chi dei due si rende conto di come stanno le cose? Mario sa molto di più sulla vera condizione delle persone che gli stanno intorno di quanto Orin riesca anche solo lontanamente ad immaginare. Mario
dice a Hal che cosa fare: Orin
chiede ad Hal che cosa fare. È un paradosso estremamente profondo e significativo.
C'è di sicuro altro, ma per il momento mi fermo qui. Aggiornerò magari più avanti.
Il giudizio generale per me è più che positivo. Si può parlare di capolavoro, questa è la mia impressione. Poi di sicuro c'è a chi piacera più e a chi meno, per vari motivi, ma senza dubbio è un must leggerlo: lo consiglierei a qualunque lettore con un po' di esperienza, a priori, nonostante la complessità e la lunghezza. Se lo spari a un neofita si ammazza a pagina 50 ovviamente: ma fa parte del gioco, o meglio, dello scherzo.