The Outerworlds: Black Report 2013
Nelle classifiche 2013 di webzine autorevoli e riviste cartacee, si può notare un comune denominatore: l’aumento considerevole della percentuale di musica hip hop e r’n’b rispetto al mondo del rock in senso più allargato. Il disco di Kanye West è finito spesso sul podio, mentre Run The Jewels e Danny Brown hanno raccolto copiosi elogi, finendo a diverse altezze nelle varie classifiche. Da parte nostra, abbiamo deciso di dare il via ad un nuovo progetto: il report periodico di genere, una fotografia ad una frazione del mondo della musica, un utile strumento per avere una visione d’insieme più completa di quanto accade in una scena in rinnovato fermento. Vogliamo tagliare il nastro con questa prima raccolta dei dischi e mixtape più interessanti usciti nel 2013. Non è completa, ovviamente (segnaliamo brevemente le uscite di RITTZ, Homeboy Sandman, Terrace Martin, Da Mafia 6ix e Juicy J, per gli insaziabili), ma è rappresentativa della nostra linea editoriale. (Denis Bosonetto)

Action Bronson & Party Supplies
Blue Chips 2
Seguito di uno dei migliori mixtape prodotti dall’East Coast hip hop negli ultimi anni, Blue Chips 2 è un’ulteriore radicalizzazione del sound già privo di compromessi del rapper Action Bronson e del beatmaker Party Supplies. Già alfieri di un’intramontabile old school hip hop, in questo mixtape i due riutilizzano mozziconi di sintetizzatori del pop anni ’80, motown soul, film e pubblicità in technicolor. Sempre grande carisma e umorismo, sempre grande immaginazione da sceneggiatore, sempre ottimi cuts e beat. More of the same, ma a volte non è un difetto. (D.B.).

A$AP Rocky
Long.Live.Asap
Delle basi chilly di Clams Casino non c’è traccia, se non tra i loop di “LVL” (The Field hip hop): la calma intossicata di Live.Love.A$AP ora sfiora l’hardcore rap, tra pistole, killers, gangstas e hustlin’. Ci sono canzoncine iperprodotte e un po’ insignificanti, ma il risultato è generalmente ottimo soprattutto nelle sue quattro tracce in apertura e in chiusura. (D.B.)

A$AP Ferg
Trap Lord
A$AP Ferg ha il difficile compito di tener testa ai suoi “maggiori in grado”, Rocky e Schoolboy Q, per mantenere alta l’attenzione e grande la fama dell’A$AP Mob. Trap Lord ci riesce solo in parte: pesta duramente con dei beat ben prodotte ma fatti con la calcolatrice; un flow spesso buono, a volte impeccabile ma sempre piuttosto monotono; i testi sono sciocchi ma qualche battuta è azzeccata. La crew non riesce a completare la triangolazione, ma il tentativo è buono. (D.B.)

Beyoncé
Beyoncé
Esce di sorpresa, Beyoncé, con il suo album più personale, il più grande spettacolo che Beyoncé abbia mai ideato e, nella sua interezza, il migliore abbia mai composto. L’electro-r’n’b che ella stessa ha portato al successo, ora è perfezionato e temperato per essere applicato a tutte le anime del disco. Suggerimenti UK Bass, trap, e bubblegum pop, si mischiano al suo più classico retaggio r’n’b e soul e a più modaioli momenti indie pop. (D.B.)

Big K.R.I.T.
King Remembered in Time
Più che mixtape, LP gratuiti. Grande coerenza e grande spirito creativo di uno dei migliori autori southern hip hop dell’ultimo decennio. Le sue straordinarie doti da mc danno sicuramente lustro a delle basi (spesso prodotte dallo stesso) che se non hanno grandi difetti, non hanno neppure grandi pregi: anche in operazioni coraggiose quanto rimaneggiare un classico James Blake, solo raramente riescono ad essere accattivanti(“Talkin About Nothing” funziona alla perfezione) o toccare corde sensibili. (D.B.)

Bilal
A Love Surreal
Non è semplice amare la difficoltà delle melodie di Bilal, le sue citazioni continue a certo modo di fare funky soul che risale agli anni ’80 e che davamo per disperso, la trasgressione jazz delle regole non scritte della musica di genere, il basso elettrico impossibile da inseguire, le originali incursioni in territorio hip hop (“Climbing”). Non è semplice, non è immediato, ma, come spesso accade, basta un piccolo impegno per far divenire A Love Surreal un’opera estremamente gratificante. (D.B.)

Billy Woods
Dour Candy
Sequel più che dignitoso di History Will Absolve Us, Dour Candy ne è di fatto il negativo. Là dove il primo portava avanti forte dichiarazioni politiche, il secondo si assesta su tematiche più personali, sempre con quello stile tra il simbolista e l’ermetico che ha portato Woods al successo in ambito underground. Più che una collaborazione, quella con il grande producer Blockhead (solitamente attivo su Ninja Tune), è una sinergia risultante, infine, in un disco eccezionalmente omogeneo, di grande fascino. (D.B.)

Black Milk
No Poison No Paradise
Il miglior LP da solista di Black Milk, maturo e omogeneo. Finalmente Cross ha trovato buon flow e buoni testi (niente di cui scrivere a casa, sia chiaro) per accompagnare i suoi beat da sapeur, i cuts impeccabili imparati da e con JDilla, le ingerenze jazz e r’n’b modello The Roots (ed eccolo, infatti, comparire Robert Glasper). Interessanti campionamenti di Bonobo e, in generale, la capacità di far convivere in pace l’animo classico del vinile con un’elettronica senza brutture. (D.B.)

Cakes Da Killa
The Eulogy
Si consolida la scena underground omosessuale di New York e Cakes Da Killa ne è uno degli alfieri. Il consolidamento passa, appunto, per un esordio che possiede tutte le caratteristiche finora ascrivibili al genere: grande ironia, testi acidissimi colmi di aneddotica e di stupefacenti, buona interpretazione hip hop di una certa musica elettronica (più vicina, per ovvie ragioni, alla house americana che non al trap) e tanto carisma. Cakes Da Killa, Le1f, Mikky Blanko sono tutti interpreti eccezionali, personaggi che bucano la dimensione musicale. (D.B.)

Chance the Rapper
Acid Rap
Una delle rivelazioni dell’anno. Emerso quasi dal nulla, rapper e buon cantante, si è imposto nella scena con una personalità forse non complessa, ma sicuramente multiforme, gradevole da seguire nei suoi svolazzi spesso intossicati, sorvolando tra il serio e il faceto tematiche diverse, come la droga e il suo traffico, la dipendenza da certi tipi di rapporti interpersonali, il rapporto con dio ecc. Un bel disco, molto melodico (sottili e interessanti le influenze di musiche sudamericane e caraibiche) e ben prodotto, lavorato artigianalmente con autori ormai assodati come Ab-Soul, Action Bronson, Childish Gambino o Vic Mensa.

Coultrain
Jungle Mambo Jambo
Scenari da musical, isterie jazz, campionamenti che sfiorano l’hip hop e una calda, potente e svolazzante voce soul. Il filo del rasoio è affilatissimo, tra l’ascolto piacevole di una melodia orecchiabile, e il digrignare interiore per la ruvidità sghemba e dissonante, i cambi schizofrenici di tempo e i massimalismi elettrici/elettronici di molte canzoni di Jungle Mambo Jumbo. La libertà dell’artista di fare ciò che vuole per esprimere ciò che crede (una quest amorosa, in questo caso) è assoluta in un’ opera non perfetta né semplice da ascoltare, ma di grande, indiscutibile valore. (D.B.)

Danny Brown
Old
Ancora intossicato – stupefacenti o sesso poco importa; ancora spericolato nelle rime e senza filtro nei contenuti; ancora ferito da un’infanzia terribile e da un habitat violento e autodistruttivo; ancora perfette le sue produzioni (hip hop anni ’90, dubstep, tanto trap e campionature lontanissime, addirittura dagli Alan Parson’s Project); ancora impeccabile il suo flow. Non il solito Danny Brown, però: in qualche modo più maturo ora è conscio delle proprie possibilità. Grande album, deprimente e divertente. (D.B.)

Death Grips
Government Plates
Continua ancora il trip deliro-paranoico dei tre californiani entrati ormai nella pop culture, specie grazie alle continue strizzate d’occhio alla sottocultura internet. Le nuove tracce, più variegate e destrutturate ricordano maggiormente l’ottimo Money Store, che non l’ultimo No Love Deep Weeb, proponendo il solito buon mix di follia e sperimentazione. (Emanuele Cioffi)

Drake
Nothing Was the Same
Il personaggio non cambia di una virgola: egocentrico, maschilista ma in fondo tenerone, gradasso e inconsapevolmente dozzinale (“Wu-Tang Forever”? Seriamente?). A pensarci si perde la pazienza, ma il ricchissimo rapper canadese ha doti che nessuno può negare: grande sesto senso per la melodia, per la rima efficace, per il ritmo accattivante. Emergono canzoni eccellenti che tutti dovrebbero ascoltare (le prime tre in apertura sono classici istantanei), invischiate in altre davvero sciocche (“Maffakas neva lo’ed us. Rimembah?”). Il solito, grande, ridicolo Drake. (D.B.)

Earl Sweatshirt
Doris
L’intento è chiaro: mettere da parte certe velleità puerili da uomo dannato e ribelle che caratterizzavano il primo mixtape Earl e allargare la proposta a pezzi che lasciano campo libero allo scorrere fluido di versi e rime, che vengono fuori con una naturalezza che farà sicuramente invidia a artisti ben più anziani. E se non bastasse per convincere sulla qualità della proposta,va ricordato che in quasi metà delle tracce la firma alla produzione delle basi porta il nome dello stesso Earl. (E.C.)

Eminem
The Marshal Matters LP 2
MTV è morta, non fa più ridere nemmeno sfotterla, i D-12 sono ormai chiaramente uno dei peggiori ensemble che l’hip hop abbia mai avuto ed Eminem è parte di un passato rimosso: troppe pessime battute di spirito, troppa autocommiserazione, troppe scene raccontate fino all’ultima goccia di implausibilità. Dopo la droga e i noti problemi familiari, la speranza era che Eminem riuscisse a dirigere i versi graffianti e l’immaginario vivido (che è pure capace di raccontare piuttosto bene, a tratti) verso nuovi lidi, più maturi forse. Non l’ha fatto. The Marshal Matters LP 2, è un nuovo vecchio album di cui non c’era necessità. (D.B.)

Ghostface Killah ft. Adrian Younge
Twelve Reasons to Die
Un’opera solida, filmica a tutti gli effetti: una storia di spari, vendette, mafia e sicari resuscitati (appunto questo sarebbe Ghostface Killah sotto le mentite spoglie di tal Tony Starks) che non sa di nuova frontiera ma che trascina 25 anni di basi, breakbeats e interpretazioni a più voci dentro un unico grande calderone nel quale Ghostface fa la differenza, insieme a qualche nobile compagno di viaggio e alcune intuizioni western che lasciano il segno. (Luca Momblano)

J. Cole
Born Sinner
Hip hop spirituale, pieno di musica in senso stretto: beat cesellati, orchestrali, un groove quasi southern hip hop, un flow piano e poco enfatico che ha il doppio pregio di lasciare il meritato spazio alle basi, ma senza scomparire, e di consegnare testi ben scritti senza venire presto a noia. Al contrario, momenti di notevole lirismo e belle melodie rendono Born Sinner un disco forse senza l’energia necessaria ad ammaliare al primo ascolto, ma capace di crescere notevolmente col numero di ascolti. (D.B.)

Janelle Monáe
The Electric Lady (Suites IV & V)
Ora come non mai è evidente come Janelle Monàe sia un’artista capace di reinventarsi senza tradimenti, di grande cultura, soprattutto soul e r’n’b, e di grande intelligenza, capace di creare melodie estremamente pop ma mai stucchevoli, senza privarsi di qualche eccentricità. Una caratteristica, questa, che la accomuna ai grandi del passato. (D.B.)

Jay-Z
Magna Carta... Holy Grail
Pochi rimbalzi nella parabola discendente di uno dei musicisti e imprenditori più di successo. Un flow stanco ma con qualche battuta efficace, basi interessanti solo a singhiozzo e il tentativo a dir poco goffo di apparire raffinati intenditori citando Nirvana e R.E.M. o pronunciando Picasso e Braque. Nulla di male, ma l’effetto è tale da sembrare parvenu culturali, piuttosto che milionari molto chic. Bella la collaborazione con la moglie Beyoncé, ma troppi i tentativi falliti di rincorrere la moda trap del momento. Non tutto è da buttare, ma di certo non basta. (D.B.)

Joey Bada$$
Summer Knights
Da quando PEEP: The aPROcalypse ha lanciato i PRO ERA, un anno fa, c’è stata un’enorme attesa per Joey Bada$$, il posterboy del collettivo, il carismatico condottiero appena fuori dalla pubertà che avrebbe salvato l’east coast hip hop, il suono urbano di New York, riportando la classicità e il gusto là dove regna il suono gradasso e senz’anima. Forse, Summer Knights non ha fatto la rivoluzione (difficilmente ci si riesce con tanta pacatezza e maturità), ma la musica, i testi e la classe di Joey Bada$$ non tradiscono le aspettative. Da ascoltare e riascoltare. (D.B.)

José James
No Beginning No End
La sua musica è fatta di soul ’60 e ’70 (Marvin Gaye, Donny Hathaway…) da un lato, e sonorità R&B e hip-hop più moderne (ha collaborato anche con il caro FlyLo) dall’altro, il tutto condito in salsa pop. Un’ora piena di musica che scivola via leggera, scaldando il cuore e facendoci ondeggiare sulla sedia. (E.F.)

Justin Timberlake
The 20/20 Experience
Ogni svolazzo r’n’b, ogni produzione di Timbaland (ben truccata per mascherare il vecchio da classico), ogni sfioramento della voce di questo moderno Sammy Davis Jr. , di questo Frank Sinatra con la passione per i bei ritmi della musica afro-americana è il climax corale di un’incoronazione. (D.B.)

Ka
The Night's Gambit
Un LP volutamente sottotono, riflessivo, guardingo. Nella musica come nelle rime, l’ambiente urbano, la giungla di cemento di Brownswood, fatta di case popolari, spaccio e gang, viene dipinta senza le spacconate del solito hip hop. Come nella copertina, la vita di Ka pare essere una continua partita a scacchi, fatta di schemi, attacchi, difese e ritirate strategiche, una partita narrata con voce monotona su musica in bianco e nero. (D.B.)

Kanye West
Yeezus
Yezzy se ne esce con un album privo di artwork di copertina, ruvido, pestato e oscuro, al limite dell’industrial rock, lanciato senza schiamazzi nonostante i grossi nomi coinvolti (Daft Punk, Bon Iver, Frank Ocean, RZA, Rick Rubin…).Yeezus è il disco più alternativo che Kanye West avrebbe potuto concepire oggi, come 808s nel 2008. (P.R.)

Kelela
Cut 4 Me
Oltre le barriere di genere, questa giovanissima autrice di origini etiopi è artefice di un ritorno all’ r’n’b dei super gruppi come Destiny’s Child e TLC (“Enemy”, “Floor Show”…), in sovrapposizione alla musica elettronica del presente futuro, in forza con basi eccellenti. Nguzunguzu, Bok Bok, Girl Unit, Jam City, Kingdom, tutti hanno compreso il valore di Kelela come autrice d’avanguardia, scagliata contro il bordo vertiginoso tra musica undeground e musica pop. (D.B.)

Laura Mvula
Sing To The Moon
Incredibili gli intrecci sonori che Laura Mvula, afroinglese, riesce a creare: melodie estremamente piacevoli, colme di dettagli, di sovrapposizioni di una bellezza quasi tattile. Non fosse per dei difetti imperdonabili, il suo debutto su 45 giri sarebbe un vero capolavoro. Prendiamo “Green Garden”: nu soul eccentrico, di grande classe e ricercatezza, un ritmo che ricorda le follie di Janelle Monàe. Ma che brutti testi, santo cielo! (D.B.)

Le1f
Fly Zone
Rapper in spandex fluo, Le1f scivola con il suo eccellente flow effeminato su strumentali che, per inventare un termine, paiono techno trap, pesantemente riconoscente al grime britannico: oscuro, piovoso, estremamente attento alla qualità dei bassi spaccawoofer. Collaborazioni con autori talentuosi ma piuttosto sconosciuti, operanti in un circuito underground ancora tutto da scoprire. Dopo questo nuovo, ottimo mixtape gratuito, l’attesa per un vero disco d’esordio è alle stelle. (D.B.)

Mac Miller
Watching Movies With The Sound Off
Qualcuno lo chiama stoner rap, in bilico tra l’allucinato e il collassato, ma è un’etichetta che non funziona (più): Mac Miller è un autore vero e proprio, ormai maturo. Ora è capace di trattare con credibilità temi importanti e seri (come la morte di un amico), pur scrivendo ancora le vecchie e sciocche rime di un tempo. Miller è uno dei migliori rapper e produttori contemporanei: le collaborazioni con artisti come FlyLo, Action Bronson, con la ballotta black hippy e la gang Odd Future parlano da sole. (D.B.)

Mavis Staples
One True Vine
(Mentre in “Jesus Wept” Mavis Staples canta, rotta e dolce, il suo dolore ed il suo diniego ostinato a lasciar andare una persona che non può più tornare indietro, non si può che provare ciò che prova questa voce impareggiabile, e rimanere interdetti da quanta verità artistica sa trasmettere questa gentile settantenne. Curiose cover (Low, Funkadelic e la stessa Staples con il classico “I Like the Things About Me”), ben studiate dal collaboratore Jeff Tweedy, completano una delle migliori pubblicazioni dell’anno, per quanto concerne la musica soul. (D.B.)

M.I.A.
Matangi
Quasi rinnegato l’album // / Y /, M.I.A torna ad essere l’artista potente ed ispirata che amavamo. Dubstep (quello delle radici, le finezze di El-B), kuduro, trap, fidget house: la Arulpragasam riesce sempre ad essere incredibilmente efficace (fingiamo che “Come Walk With Me” non sia mai esistita) sia dal punto di vista della produzione, sia nel cantato (piacevole nel ruolo inedito di cantante pura in collaborazione con TheWeeknd). L’azzardo: Matangi è il miglior disco di M.I.A. (D.B.)

PARTYNEXTDOOR
PARTYNEXTDOOR
Dischetto di appena 29 minuti per dieci canzoni compatto e squadrato con pezzi diretti e concisi di r’n’b metropolitano dal sapore The Weekndiano. PARTYNEXTDOOR esce sotto l’ala protettrice di Drake attraverso la sua casa discografica e viene ufficialmente accettato nel circolo. (T.B.)

Pusha T.
My Name Is My Name
King Push alla sua miglior uscita solista. Quest’anno è lui il vero signore del circolino trap: mc intelligente e capace, basi che picchiano duro, con Kanye che mette il naso un po’ ovunque, collaborazioni di lusso. My Name Is My Name, tuttavia, è chiaramente diviso in due parti non di pari valore. La prima è quella trap in senso stretto: killer beats, killer bars e tanta droga. La seconda parte, invece, è tanto melodica da essere pop e la sensazione è quella di una variazione sul tema di cui nemmeno Caine è sicuro. In fondo, non importa: canzoni come “Numbers On The Boards”, “Nosetalgia” o “Sweet Serenade” non si possono ignorare. (D.B.)

Quasimoto
Yessir Whatever
Il re del boom bap, Madlib/Lord Quas/the Beat Konducta, scegliete voi, pubblica una collezione di beat e rime prodotti nell’arco di più di dieci anni. Il suo stile inconfondibile, analogico, sanguigno, jazz in suo particolare senso, non è mai cambiato. Sono cambiate forse alcune furbizie nelle rime, nel riconoscere il valore che il compromesso, in certi casi, può avere e che in questa raccolta manca del tutto: o amate lo stile di Quasimoto, dissonante, filtrato, ovviamente fumatissimo, senza tregua per il cut preso da chissà dove, o fate spallucce. Non il migliore dei Madlib possibili, ma comunque apprezzabile. (D.B.)

Rhye
Woman
La voce femminea di Mike Milosh – conturbante, martoriata, spudoratamente androgina e quindi erotica – è un bell’omaggio al lato gentile non solamente della donna, a cui pure è dedicato questo disco malincoromantico davvero affascinante. I videoclip non sono parte trascurabile dell’immaginario sensuale e sentimentale del duo: brevi narrazioni che completano la musica, indimenticabile, dei Rhye. (D.B.)

Robert Glasper Experiment
Black Radio 2
Come nel primo episodio, la differenza la fanno le performance vocali, impeccabili e da colpo di fulmine (“Let It Ride”, cantata dalla Jones, è già tra i brani top dell’anno per chi scrive). Di contorno, un accompagnamento musicale di classe che, a dispetto dello stereotipo nu soul (a volte stucchevole), è qui del tutto efficace nella sua delicata immediatezza. (E.F.)

Run the Jewels
Run the Jewels
Entrambi da più di 10 anni sulla scena, entrambi autori culto capaci di esplorare a fondo le mille personalità dei propri personaggi e le mille vibrazioni del proprio estro musicale, Killer Mike ed EL-P formano un duo dalla forza ancor più dirompente di quanto sospettato all’annuncio della formazione del gruppo. I Run The Jewels sono graffianti nelle rime e nel beat, fresco e accattivante. Notturno e aggressivo, l’esordio di questi due veterani lascia colpiti e col fiato corto. (D.B.)

Serengeti
Kenny Dennis LP
Kenny Dennis LP è la continuazione di un esperimento piuttosto interessante, il tentativo piuttosto riuscito di raccontare la vita di Chicago, e degli USA in generale, in una matrioska di minoranze che è tipica del Paese, attraverso le vicende di un personaggio, un alter ego, di nome Kenny Dennis: operaio e appassionato hardcore rapper. Da lungo tempo questo progetto porta Serengeti attraverso old-school hip hop, garage rock e territori musicali vari ed eventuali, ma questa sua ultima uscita è forse la più consistente opera narrativa: quasi del tutto in spoken word, Kenny Dennis è un’interessante insieme di musica, teatro e letteratura. (D.B.)

The Internet
Feel Good
Neo soul, funk e elettronica disco dagli anni ’80: alla sperimentazione non rimane che una frazione delle energie delle uscite precedenti, così come alla personalità della musica dei The Internet. Fa piacere ascoltare canzoni come “Dontcha”, o “Red Balloon” (un vero gioiello), ma Feel Good, nella sua interezza, si perde troppo in inutili giri di basso che, sommati alla voce squisita di Syd e ai synth decisamente groovy, ricordano troppo da vicino quei miliardi di dischi chillout di cui nemmeno gli autori si ricordano più. Un vero peccato. (D.B.)

The Underachievers
Indigoism
Hip hop per psiconauti, i The Underachievers sono appassionati cultori dello stato alterato di coscienza, in un vortice che porta fuori dalla insensatezza della vita contemporanea. Un escapismo che può permettersi di essere serio e faceto al contempo, e che rende Indigoism vario e diversificato e al contempo coeso e unitario. Grandi basi, melodiche e profonde nel beat, e un flow assolutamente imbattibile da parte di ogni componente della crew. (D.B.)

The Weeknd
Kiss Land
Fluidamente mediocre per tutta la sua durata con giusto un paio di pezzi superiori alla media ma niente a che vedere con i bei vecchi tempi di House of Balloons (ma anche dei suoi due successori). Le grandi idee degli inizi fortunatamente a tratti si fanno vedere con qualche beat o verse azzeccato, magari c’è ancora la speranza che ritorni alla qualità degli albori ma non contiamoci troppo. (Thomas Borgogni)

Tinashe
Black Water
C’è vita fuori dal nu soul, è chiaro da tempo, ma Tinashe lo ribadisce con forza. Quasi non fosse nemmeno esistita, come parentesi musicale, le radici sono piantate direttamente nel r’n’b degli anni ’90, rinnovato con le ruvidità e i feticci del beat tipici di questo presente, come l’808 che pulsa ogni 4 o 8 barre o il rinnovato amore trap. Una bella voce, una sensualità vagamente diversa dal solito, a rincorrere la più piccola delle Knowles (“Midnight Sun”), musica pop tra le migliori. (D.B.)

Young Fathers
Tape Two
Il combo continua il percorso stilistico intrapreso con l’esordio: il suono è un amalgama musicale derivato da un vero e proprio meltin pot dove si possono trovare sia richiami alla black music – hip hop in primis, ma anche e soprattutto r’n’b – che all’elettronica inglese di fine anni Novanta. Tape Two si rivela presto un EP dalle idee originali e con alcune sonorità interessanti, inducendoci a credere che quello dei Young Fathers sia un nome da ricordare per il futuro prossimo. (U.N.)

Tyler, The Creator
Wolf
Ormai rinchiuso in quel mondo da lui stesso creato, il patrono della OFWGKTA (Odd Future per gli amici) torna con un discreto terzo album da solista che non accenna a staccarsi dalle cifre stilistiche ampiamente proposte nei precedenti, ribadendo tutto il ribadibile sia nelle basi che nei testi. Deve fare attenzione però il buon Tyler, se non si rinnova un po’ verrà bruciato dai colleghi di cui lui proprio è stato il mecenate. (E.C.)

Vic Mensa
INNANETAPE
Da Chicago, come il suo compare Chance The Rapper, al quale somiglia molto come flow, come giochi di parole, come tematiche, come beat. Ciò in cui è evidentemente diverso è la musica, in senso stretto: più soul, più melodia, più cantato (anche per via di una voce molto più apprezzabile, nonostante anche il timbro quasi uguale). Un’altra differenza, purtroppo, appare guardando al risultato finale da una certa distanza: manca precisione, manca coesione, manca un’idea portante, là dove ci sono frammenti di molte idee distanti. Un buon mixtape, con qualche difetto. (D.B.)
Social
Info
The Outerworlds: Black Report 2013
Legenda
Oro: disco chiave, impresincibile
Mercurio: a un passo dall'eccellenza
Argento vivo: brillante conferma
Rame: ottimo esordio
Antimonio: grande, inatteso ritorno
Zolfo: interessante, buono
Stagno: intorno alla sufficienza
Piombo: aurea mediocritas
Ferro: crosta, insufficiente
Disgustorama: pietra dello scandalo